Uccidere i bambini è dichiarare guerra al paradiso
Nessuno nota lo scooter bianco che si fa strada tra le macchine della rue Jules-Dalou a Tolosa. L’uomo si ferma a qualche metro dal cancello e con calma sistema la moto sul cavalletto. Prende tempo, lo stesso che si è dato per organizzare la carneficina. Poi avanza con in mano una pistola a ripetizione calibro 9. Comincia a sparare sul cancello. L’arma si inceppa, come se il destino volesse dargli un’altra possibilità di scelta. Ma lui ha previsto anche questo. Tira fuori una seconda pistola, una Colt 45. Spara subito su un professore di religione, 30 anni, che aspetta di entrare in classe con i suoi due figli, Arieh di sei anni e Gabriel di tre. I due piccoli e il papà cadono senza pietà, uccisi sul colpo. Nella sinagoga è il panico. Un bambino riesce perfino a chiamare la mamma sul cellulare: «Mamma, mamma! C’è qualcuno che spara nella scuola».
Con tre corpi senza vita a terra, l’assassino non pago afferra per i capelli la piccola Myriam, un’altra Maria, sparandogli a bruciapelo alla testa. Il video delle camere di sorveglianza sembra che abbia qualcosa di irreale. L’uomo accelera il passo verso l’uscita scaricando la pistola su tutto ciò che gli arriva a tiro. Un giovane di 17 anni resterà gravemente ferito. È il bilancio di guerra, per ora provvisorio: quattro morti e un ferito grave in pochi minuti.
Nel momento in cui pubblichiamo, il presunto assassino è stato identificato e accerchiato dalle forze di polizia all’interno di un quartiere della città. Si dice membro di al-Qaeda e rivendica il gesto criminale. Qui a Tolosa, in questa pacifica e bellissima città del Sud-ovest francese che ho il piacere di abitare da quasi 20 anni, ci svegliamo con questa notizia che in qualche modo è un sollievo data la paura di altri attentati.
Ma ora cosa succede? E domani cosa accadrà? I fatti di Tolosa sono purtroppo l’ennesimo atto di barbarie che ferisce famiglie, istituzioni e i nostri stessi cuori. Di fronte all’indicibile sofferenza di chi piange i suoi morti non resta, per ora, che il silenzio doloroso di chi aspetta adesso non solo dallo Stato, ma anche dalla società intera, una luce altrimenti impossibile.
Quello che posso dire è cha mai come in queste ore ho avvertito un clima di tristezza e lutto collettivi, palpabili. Ho provato sudore freddo all’idea che in un gioioso e rumoroso, dunque normale, cortile di scuola, come quello che incontro ogni giorno accompagnando i miei due figli, in quel felice bazar che è l’entrata quotidiana a scuola, possa scatenarsi l’inferno. L’inferno in mezzo ai bambini.
Non so perché, ma ho sempre immaginato il paradiso abitato da bimbi, poco importa l’età. Questo attentato mi ha fatto subito pensare a due opposti che si sono di nuovo maledettamente incontrati. L’amore puro e il non amore perso di un uomo che ha scelto, nell’odio per l’altro che è diverso, la strada della sua esistenza. Come sempre, dopo una tragedia simile, si invoca l’unità del Paese. Tanto meglio, ma la verità rimane invece sempre la stessa: la cattiveria umana che vorrebbe costruire santuari di odio potrà perdere la sua battaglia e la sua guerra solo se l’amore di una comunità sarà capace nel quotidiano di brillare ancora più dell’odio.