U2, un ritorno in grande stile
Da più di quarant’anni chiamarsi U2 vuol dire appartenere al gotha del rock planetario. E come tutte le griffe d’alto livello il fatto implica onori ed oneri, pressioni e business da multinazionale. Difficile reggere il gioco senza incrinarlo da dentro o da fuori, ma bisogna dar atto ai quattro d’averlo saputo reggere splendidamente e senza mai commettere passi falsi clamorosi. Ovviamente non tutti i loro album sono capolavori, ma in ognuno han saputo mettere, oltre alla classe e al talento indiscutibile, ingredienti assolutamente propri e sempre rinnovati.
In questo quattordicesimo lavoro in studio, la rock band dublinese offre il seguito – ma trattasi di un sequel perfino più ispirato – del precedente Songs of Innocence. Un album frutto di una gestazione complessa e piuttosto travagliata, dal quale scaturiscono 13 nuove canzoni (nell’edizione basic) dall’imprinting inconfondibilmente bonista, ma con dentro una nuova voglia di uscire dalle gabbie del proprio mito. Dalla suadente Love is all we have left fino alla conclusiva 13 (There is a light) tutto scorre mirabilmente, in una sapiente alternanza di quieti riflessive e lampi energetici. Una sorta di epistolario d’amore spedito ai propri cari, lettere tracimanti di frasi ad effetto capaci di trasformarsi in piccoli slogan esistenziali, con il magnetismo vocale di Bono a librarsi sulle note, e la chitarra di The Edge a incastonare preziosi arabeschi sonori, ruvidi o morbidamente avvolgenti a seconda dei casi.
Canzoni d’esperienza in tutti i sensi, per un album intenso e di piacevolissimo ascolto (come dire in perenne equilibrio tra leggiadrie pop e guizzi rockettari); un lavoro formalmente impeccabile nelle rifiniture, ma molto meno routinario di quanto ci si sarebbe potuto attendere da un gruppo sulla breccia da così tanto tempo. Ricordi nostalgici s’infilano spesso fra le inquietudini del presente, più che mai tangibili in American Soul (uno dei brani più “politici” mai scritti dalla band). Ci sono inni al potere salvifico delle donne, richiami alle tragedie dei profughi mediorientali, al bisogno di dare un baricentro e una profondità nuova alla propria esistenza; testi empatici al pari della musica, in grado di deliziare i fan più accaniti senza tediare i più tiepidi o innervosire i detrattori.
Del resto gli U2 sono, oggi più che mai, rappresentanti ormai istituzionali di un genere che continua a catturare gli umori del mondo e ciò che si agita nell’intimo di tanti che lo abitano con passione a qualunque latitudine, cultura, generazione e convinzione appartengano. E queste sono davvero canzoni con un tasso di cosmopolitismo tale da poter scorrazzare per il mondo sentendosi ovunque a casa.
In altre parole Songs of experience è un altro pezzo pregiato che va ad arricchire una delle discografie più nobili del rock di tutti i tempi. Del resto Bono Vox e soci sono l’unica band al mondo capace di arrivare ai vertici delle classifiche da ben quattro decadi. E basterebbe questo a certificare la loro forza e il loro carisma.