U2 l’orizzonte infinito

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Li davano per bolliti: una rock band carica di gloria, ma ormai ridotta a scimmiottare sé stessa. Anche lo strombazzatissimo singolo scelto come apripista del nuovo album sembrava avvalorare l’ipotesi: un power-rock di routine, che non aggiungeva quasi nulla a quanto il quartetto dublinese aveva già detto e suonato mille volte.

E invece no. Il recente No line on the horizon (Universal) restituisce ai mercati planetari una band in grande spolvero, ispirata come non accadeva da anni, soprattutto protesa a legittimare una credibilità e una ragion d’essere anche nel presente. Un album potente e suadente: da un lato sintesi perfetta della loro cifra stilistica (una griffe che oggi come trent’anni fa continua a vantare centurie d’epigoni), dall’altra incarnazione credibile di un gruppo ancora capace di surclassare la concorrenza. Bono Vox e soci sono sulla breccia da tre decenni. E ancora personificano l’archetipo di rock band per antonomasia: al punto da possedere una propria, specifica, e ormai conclamata classicità. Come i Beatles, gli Stones, i Doors. E pochissimi altri.

Ma veniamo al disco. Molti hanno tirato in ballo Achtung Baby, il loro album “elettronico” del ’91; altri sono risaliti fino all’imprescindibile The Joshua Tree, il loro capolavoro del 1987. È ancora presto per dire se le nuove canzoni abbiano l’imprinting necessario per resistere alle ruggini del Tempo, certo è che non ci sarebbe da stupirsi se ciò accadesse davvero. Così come è indiscutibile il carisma che emana l’intero lavoro: vapori sonori che centrifugano echi gospel e tecnologia elettronica, ballad intimiste e chitarrismi alla Led Zeppelin. La troika che ha aiutato il quartetto a forgiare il lingotto è del resto garanzia di qualità assoluta: Brian Eno, Daniel Lanois e Steve Lillywhite sono a loro volta dei caposcuola e dei perfezionisti. Da qui una gestazione lunga e difficile, ma il risultato è davvero notevole, anche per quel che riguarda l’equilibrio e l’interscambio emotivo tra le atmosfere sonore e le liriche.

È pieno di suggestioni e di idee questo No line on the horizon, un album che parla della forza salvifica dell’amore, di dolore e di speranza («Ogni generazione ha una possibilità di cambiare il mondo», cantano in un brano), di guerra e di droga, ma anche di un altrove che ha il respiro della trascendenza, come nella splendida Moment of Surrender definita dallo stesso Bono una sorta di preghiera laica.

Che altro aggiungere? Gli U2 stanno al rock odierno come la Ferrari alla Formula Uno: possono anche perdere qualche gran premio, ma la loro presenza è ancora imprescindibile.

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