Tutto per amore niente per forza
La rivoluzione copernicana nel nostro rapporto con Dio.
Copernico capì e dimostrò che è la terra a girare intorno al sole, e non viceversa. Non molto tempo dopo i santi cristiani fecero la loro rivoluzione copernicana: dalla mistica oggettiva – via o scala a Dio uguale per tutti (ma specialmente per chi viveva nello “stato di perfezione”, sacerdoti e religiosi), seguita fino alla fine del Medioevo –, alla mistica soggettiva, molto più conforme alle esigenze e alle condizioni individuali di ciascuno. L’una non negava l’altra, ma l’approfondiva e la “personalizzava”. Pure nell’epoca antica c’erano state potenti spinte all’interiorità personale, divenute esse stesse modelli di santità: basta citare le Confessioni di sant’Agostino, le meditazioni sul Cantico dei Cantici di san Bernardo e san Francesco d’Assisi.
Non poteva non essere così, perché il Verbo, incarnandosi, chiama a sé non genericamente, ma personalmente – «quando sarò innalzato sulla Croce attrarrò tutti a me» –, e già san Paolo dice: «Ha dato la sua vita per me».
Ma ecco la rivoluzione copernicana esplicita. La frontiera la passa, insieme a santa Teresa d’Avila, un grande santo, Giovanni della Croce, che alla fine del Cinquecento unisce in modo essenziale la via oggettiva a ogni esigenza soggettiva; dice di scrivere solo per i religiosi e le religiose, ma non si accorge di farlo per tutti, tant’è vero che è stato poi proclamato “dottore della Chiesa universale”.
La sua via è quella del nada, cioè del non attaccarsi a nulla e nessuno per giungere nudi, e quindi pronti, a Dio. Chiede ai suoi lettori di «liberarsi dall’attaccamento a ogni bene naturale, e di non lasciarsi ostacolare dai beni dello spirito» (!) per raggiungere «la perfetta nudità e libertà dell’anima, condizioni indispensabili perché si abbia l’unione divina»; relegando al non necessario estasi, visioni, apparizioni, ecc.
Pochi anni dopo, nel 1609, un altro gigante della fede, san Francesco di Sales, porta definitivamente allo scoperto la rivoluzione copernicana del rapporto con Dio: ciò che conta non è lo “stato di perfezione”, ma la “perfezione dello stato”, cioè il vivere più perfettamente possibile da cristiano nella propria condizione di vita; madri, padri, figli, artigiani, contadini, tutti: «Non so e non conosco altra perfezione cristiana che amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stessi». È lo stato comune di vita, lo stato in cui «il cuore parla al cuore» (lo ripeté poi il beato Newman nel suo stemma cardinalizio).
La vera devozione è fare la volontà di Dio, lavando i piatti o scrivendo encicliche; mentre, taglia corto genialmente il Sales, «i nostri stati d’animo – sentimenti, consolazioni e afflizioni comprese – sono quasi sempre solo scherzi del nostro amor proprio». Conta solo «l’estasi dell’azione e della vita» proposta da Dio a ciascuno, a tutti: anche nelle angosce spirituali, anche nel non riconoscere Dio, perché proprio così lo si incontra puramente, senza riserve o scorie umane.
Anche «lasciando Dio per Dio», ovvero seguendo le sorprese della sua volontà, la cui scelta è sempre migliore della nostra. Sono le piccole virtù di ogni giorno a donarci «la perfezione stessa», via sicura per incontrare già qui Dio, e in cui si fa «tutto per amore e niente per forza» (se ne ricorderà Don Bosco che chiamerà salesiana la propria opera).
E devota a san Francesco di Sales era una carmelitana che influenzò molto santa Teresina di Lisieux, ispirandole indirettamente la “piccola via”, “sicura” e “universale”, che ne ha fatto «la più grande santa dei tempi moderni» (Pio XI); colei che, volendo “essere tutto” nella Chiesa e per l’umanità, ha scoperto per sé e indicato a noi che la vera vocazione, la vocazione-Chiesa, è “essere l’amore”: ovunque, comunque, perché “tutto è grazia”.
Ma l’amore concreto e totale si può realizzare, qui e ora, in unione solo con chi attrae tutti a sé, il Crocifisso, il cui amore è massimo e invincibile perché universale. Per questa ultima connessione tra Croce e amore quotidiano – che porta a compimento la rivoluzione copernicana, aprendola all’amore reciproco e all’unità possibile di tutti gli esseri umani, secondo il mandato di Gesù «che tutti siano uno» –, Chiara Lubich ha potuto sperimentare nel suo carisma, e affermare: «Ecco la grande attrattiva del tempo moderno: penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo».