Tutto iniziò come giardinieri
«Non avremmo mai scommesso nulla su di noi…». La cooperativa Giotto per i reclusi di un carcere di Padova.
A Padova la casa di reclusione di Via Due Palazzi fa rima con novità, possibilità concreta di rimettersi nel circuito vitale dell’uomo. «Ero disperato – si sussurra –, ero peggio di niente, e qualcuno invece mi ha guardato negli occhi, mi è venuto incontro gratuitamente, ha rispettato la mia cultura, la mia religione, la mia storia personale e mi ha fatto vedere possibile una rinascita».
Qualcuno torna alla fede, altri la scoprono; altri ancora, la scorsa Quaresima, hanno scritto sul giornale online sussidiario.it una lettera aperta, dove fra l’altro si legge: «Se guardiamo il passato, ci facciamo paura pensando a tutto il male che abbiamo commesso. Oggi è bello vivere nella luce, senza che nessuno pronunci il nostro nome solo per dire il nostro male, ma quanto è bello sentire quel bisbiglio del cambiamento fatto grazie al Signore attraverso degli amici veri. Non avremmo mai scommesso nulla su di noi, era impossibile che potessimo essere così oggi».
Come è nata questa significativa esperienza lo spiega Andrea Basso, presidente della cooperativa Giotto di Padova: «Il nucleo storico della Giotto è rappresentato da giovani del movimento Comunione e liberazione che, conclusi gli studi universitari, desideravano continuare nel mondo del lavoro l’amicizia vissuta nell’ambito studentesco. Quasi tutti laureati in scienze agrarie, ci siamo orientati verso un’attività che si occupasse di interventi ambientali. Siamo venuti così a contatto con la casa di reclusione di Padova perché abbiamo partecipato, nel 1991, ad una gara di interventi per la sistemazione dell’area verde della struttura. Di qui l’idea, subito accettata, di dare una possibilità di lavoro ai detenuti. Rinunciando a guadagni più consistenti, abbiamo proposto loro dei corsi di giardinaggio e percorsi di lavoro interni. In seguito alcuni, all’interno di un progetto ben definito di recupero, sono stati impegnati in altri nostri cantieri esterni.
«L’evoluzione di questo progetto ha stupito anche noi, soprattutto quando, nel 2000, abbiamo preso atto che la recidiva, per le persone coinvolte in questa esperienza, passava da oltre l’80 per cento, dato di media, al 15 per cento. L’applicazione della legge 193, che incentiva il lavoro intramurario, ci ha permesso di studiare alcuni progetti specifici che hanno dato vita all’ampliamento dell’offerta lavorativa».
Il dottor Basso è un appassionato, lo si capisce, ma racconta con tono pacato un’iniziativa veramente rivoluzionaria, degna di essere conosciuta e condivisa più diffusamente.
«Abbiamo continuato impegnando i detenuti in laboratori per la confezione di manichini, ottimizzata da innovative applicazioni tecnologiche e laboratori di produzione per la valigeria Roncato e la gioielleria Morellato, ma non solo. Siamo fieri del livello di competenza raggiunto per esempio nel call center per il Cup dell’Asl di Padova e nella collaborazione per i servizi Fastweb e Infocert, per cui si preparano per tutte le camere di commercio le pen drive per la firma digitale e il servizio annesso per la digitalizzazione documentale delle pratiche su carta. Nel 2004 ha avuto anche inizio la gestione dei pasti in cucina, dopo che nel 2003 eravamo stati chiamati a Roma per avviare il servizio pasti presso il carcere di Rebibbia.
«In tutte queste attività la Giotto ha coinvolto altre due cooperative e dato vita al consorzio sociale Rebus, che svolge al 20 per cento attività nel carcere e complessivamente impiega 500 persone, di cui 150 svantaggiate.
«È del 2005 l’apertura della pasticceria: un vero successo, con un numero altissimo di prenotazioni, vista l’alta qualità della produzione, e che annovera diversi premi e riconoscimenti».
Quando nel 2008 il Meeting di Rimini è balzato alla ribalta della cronaca per la presenza di detenuti alla mostra Libertà vo cercando ch’è si cara. Vigilando redimere, che illustrava esempi di umanità nelle carceri nel mondo, l’attenzione su quel che stava accadendo in quella fetta di Veneto ha acceso riflettori più luminosi sul consorzio e sui reclusi di Via Due Palazzi.
Prosegue Andrea Basso: «Nel 2005 abbiamo illustrato l’attività alla città di Padova in un incontro pubblico davanti a tutte le autorità, ed è stato allora che abbiamo preso coscienza, leggendo lo stupore negli occhi dei presenti, della portata di quello che stava accadendo, del valore del lavoro e di come all’interno di esso emerga l’identità cristiana come possibilità di vivificare ogni rapporto umano. Qualche detenuto che non aveva mai lavorato prima attende il lunedì con gioia, felice di recarsi al lavoro. Gente abituata alla menzogna riprende invece a vivere dignitosamente e con grande consapevolezza».
Sono parole appassionate, come quelle che concludono la lettera sul giornale online già citata, testimonianza di questa vita rinnovata: «Se questo si chiama miracolo o Mistero, non lo sappiamo, ma sappiamo che è una vera letizia vivere così, in questo posto dove tutto si potrebbe dire ma non che sia un posto piacevole… Con la Santa Pasqua della Resurrezione possano tutti sentire l’amore e l’abbraccio di Gesù Cristo come lo sentiamo noi».