Tutto in tre giorni… e poi la libertà

È forte in Africa il senso della solidarietà. Ciò che accade al singolo, sia nel bene che nel male, coinvolge l’intera comunità locale. Per questo la fraternità portata da Cristo trova in quel continente un terreno già dissodato. Una conferma viene dalla vicenda che segue, accaduta diversi anni fa, ma che vale la pena, a mio avviso, far conoscere anche ai nostri lettori. Me l’ha narrata Antonio, uno dei protagonisti. Come già altre volte, stavo trascorrendo le mie ferie d’agosto a Fontem, la cittadella all’interno del Camerun, dove è iniziata l’avventura dei Focolari nel Continente Nero. Ferie per modo di dire… Io che come lavoro faccio l’amministrativo, di volta in volta cerco di dare il mio apporto alla comunità che mi ospita trasformandomi, all’occorrenza, in manovale, meccanico, autista, elettricista… Quella volta però una notizia aveva messo in subbuglio tutta Fontem: l’aveva portata da Douala l’amico Vittorio Brugnara e riguardava un giovane camerunese residente in quella città. Jean-Baptiste (questo il suo nome) si trovava in carcere ingiustamente accusato di furto presso la ditta dove lavorava; per una sciagurata negligenza del suo avvocato difensore, non era riuscito a far valere le prove della sua innocenza, e a causa della pausa estiva correva ora il rischio di marcire in cella a lungo in attesa della revisione del processo. La notizia era tanto più dolorosa in quanto ci erano ben note le condizioni di sovraffollamento, di mancanza d’igiene e di umanità delle carceri governative, dove fra l’altro chi non aveva la possibilità di ricevere viveri dall’esterno rischiava la fame. Povero Jean-Baptiste, immagine di Gesù condannato come un malfattore! Dopo aver esaminato la questione con gli amici, unica soluzione pareva che io e Vittorio partissimo subito per Douala dove avremmo tentato l’impossibile per tirare il nostro amico fuori dal carcere. Confidavamo soprattutto nella promessa di Gesù di concederci, se uniti fra noi, qualunque cosa avremmo chiesto al Padre. Douala dista da Fontem 350 chilometri. Dopo un viaggio estenuante di circa otto ore in land rover, abbiamo cercato l’avvocato del nostro amico, solo per costatare che era già partito per le ferie. Vedendoci poi negata, alla prigione, la possibilità di parlare con il prigioniero, ci siamo precipitati al tribunale civile e penale dove, dopo ore di attesa, siamo riusciti finalmente a ottenere dal procuratore generale il necessario permesso. Malgrado ciò, il capo delle guardie ha continuato inspiegabilmente a farci delle difficoltà. Ma insomma, perché non ci viene incontro? – gli ho chiesto in francese -. In fondo anche lei è un cristiano. Mi riferivo al vistoso crocifisso che gli pendeva al collo. E lui di rimando: No, sono musulmano. Ma crediamo anche noi in Cristo. Finalmente, a forza di insistere, siamo riusciti ad ottenere un colloquio con Jean-Baptiste. Il giovane è arrivato in parlatorio con un’aria piuttosto abbacchiata, ma presto si è rianimato ritrovandosi tra amici e ha potuto raccontarci la sua versione dei fatti. Per fortuna, diceva, custodiva ancora le prove della sua innocenza, ovvero i documenti aziendali. Poco dopo consultavamo quelle carte, rendendoci conto della loro validità. Non restava che appellarci nuovamente al procuratore generale per cercare di far rivedere il processo. Tutta Fontem, nel frattempo, era impegnata a pregare, come pure la comunità di Douala, puntualmente tenuta informata delle nostre mosse. Noi stessi utilizzavamo le lunghe attese dovute alla burocrazia pregando. Veniva in mente quell’episodio degli Atti degli apostoli in cui Pietro viene miracolosamente liberato dalle sue catene, mentre la chiesa pregava intensamente Dio per lui. Il pomeriggio, rieccoci al tribunale, dove però ci aspettava una sgradita sorpresa: il procuratore generale era assente, partito per le ferie! Cercando di non perdere la calma, abbiamo chiesto allora udienza al suo vice (fra l’altro, un suo nipote). Dopo la solita lunga trafila, il funzionario ci ha ascoltati con un’aria stanca e seccata, per poi troncare ogni discorso: Mi spiace, ma questo caso è già stato giudicato, per me la faccenda è conclusa. È inutile insistere: bisognerà attendere il processo di revisione. Vittorio ed io ci siamo guardati per un attimo smarriti. A questo punto, non mi sono trattenuto più e sono partito al contrattacco: Ma come, qui abbiamo le prove che un innocente, un nostro fratello, è trattenuto in carcere! Lo sa che è dovere suo, come pubblico ufficiale, di adoperarsi perché si faccia giustizia?. A questa mia contestazione cortese ma decisa, l’altro ha improvvisamente cambiato atteggiamento: Beh, stando così le cose, vedrò di fare qualcosa per voi; e, ricordando che l’indomani ci sarebbe stato un processo, ha promesso di aggiungere il nostro Jean-Baptiste nella lista dei prigionieri da giudicare. Mentre uscivamo dal tribunale, siamo passati davanti ad una porta dotata di finestrella con sbarre, e gettando gettando uno sguardo all’interno siamo rimasti sconvolti dallo spettacolo disumano di una trentina di reclusi in attesa di processo, incredibilmente ammassati nello spazio angusto di un sottoscala sporco e maleodorante. Al che, mi sono consultato con Vittorio: Che ne dici se andiamo a comprare qualcosa, magari dei dolciumi, e glieli portiamo?. Così abbiamo fatto, ma al ritorno una guardia ci ha bloccato: non potevamo dare nulla ai prigionieri senza il permesso del capo delle guardie. Costui, da noi interpellato, insisteva per sapere a chi in particolare volevamo offrire i dolci. Vittorio ha avuto una ispirazione: Vogliamo darli a Gesù. L’altro è rimasto senza parole e ci ha lasciato fare. Dietro nostro invito i prigionieri, invece di fare a chi più ne prendeva come ci si sarebbe aspettato, si sono divisi fraternamente quei dolci. Siamo quindi ritornati in carcere per informare Jean-Baptiste della nuova piega che stavano prendendo le cose e ridargli speranza. Il giorno dopo siamo tornati in tribunale; ma quando, finalmente, è arrivato il camion dei prigionieri, il nostro amico non c’era con gli altri; anzi non figurava nemmeno nella lista! Ovviamente ci siamo precipitati ancora dal vice procuratore, che a questo punto ha suggerito di andare noi stessi, muniti di un permesso speciale con la sua firma, a prelevare il prigioniero e accompagnarlo sotto scorta in tribunale. Intanto avrebbe fatto mettere in rubrica il processo del nostro amico. Così, con Jean- Baptiste e un soldato armato a bordo della nostra vecchia macchina, siamo tornati a tutta velocità in tribunale, dove per fortuna il processo era ancora in corso. Tutto a posto? Niente affatto. Arrivato il turno di Jean-Baptiste, il presidente del tribunale ha cominciato a risentirsi: Ma io quest’uomo l’ho già giudicato e quindi perché se ne discute ancora?. Al che io e Vittorio ci siamo fatti avanti e, senza lasciargli il tempo di chiedere chi eravamo, gli abbiamo sciorinato tutti i documenti, pregandolo di esaminarli: lì, gli abbiamo spiegato, c’era la prova dell’innocenza del nostro protetto. Il giudice è rimasto sconcertato dal nostro intervento: Ma voi chi siete, avvocati?. E Vittorio, per tagliar corto: Siamo di Fontem. Apparentemente soddisfatto da questa risposta, l’altro ha riesaminato le carte: Sì, effettivamente sembra che ci sia stato un errore… e allora bisogna rivedere la cosa. In breve, Jean-Baptiste è stato prosciolto dall’accusa. Ma non bastava: perché venisse scarcerato occorreva anche il visto del cancelliere. Già pregustando la vittoria, dopo aver abbracciato il nostro amico, siamo corsi a rintracciare questo personaggio. Solo nel pomeriggio però, dopo avergli fatto la posta a lungo, ci è riuscito di farci ricevere da lui. E qui nuove contrarietà: l’uomo era tutt’altro che disposto ad apporre il suo visto. Proprio non ci voleva, ad un passo dal traguardo! Eravamo davvero costernati. La mattina dopo, sabato, era l’ultimo giorno utile prima delle ferie che avrebbero reso tutto estremamente difficile. Sostenuti dalla fede che con Gesù tra noi tutto era possibile e dalle preghiere di quanti partecipavano a questa avventura, abbiamo fatto un nuovo tentativo presso il cancelliere. Inizialmente irremovibile, dopo ulteriori insistenze da parte nostra ha ceduto. Di corsa in prigione sperando di arrivare ancora in tempo, abbiamo esibito l’ordine di scarcerazione vistato. Colpo di scena: il direttore della prigione voleva vederci nel suo ufficio, dove ha esordito: Sapete? Tutti qui non fanno che parlare di voi; per questo ero curioso anch’io di conoscervi. In breve, non riusciva a nascondere la sua ammirazione. Mai in tanti anni – ha ammesso – ho trovato due come voi, europei per giunta, che si sono prodigati per un africano al punto da riuscire in tre giorni – con tutta la nostra burocrazia – a farlo uscire di prigione: ma come avete fatto?.

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