Tutto esaurito per Gramellini e la sua Italia dei 150 anni
Il racconto ad un uditorio rapito della storia di Carlo Casalegno, primo giornalista ucciso negli anni di piombo
Tutto esaurito e centinaia di speranzosi in attesa per assistere domenica mattina all’incontro con Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa, per la presentazione di La patria bene o male, scritto con Carlo Fruttero. Il libro racconta i 150 anni d’Italia attraverso 150 avvenimenti, politici e non, importanti per gli autori. Gramellini, accompagnato dalla figlia del grande scrittore torinese, ha letto alcuni brani particolarmente emozionanti ad un uditorio rapito. 150 date, usate come filo conduttore per raccontare in altrettante piccole storie la grande storia del nostro Paese. Perché i grandi eventi, dall’istituzione del Parlamento alle guerre mondiali, dalla nascita della democrazia ai fatti dei nostri giorni, richiamano personaggi politici, intellettuali, artisti e scienziati, che hanno contribuito a costruire l’Italia.
«Scrivere questo volume – ha detto Gramellini – è stata un’impresa al confine tra presunzione e umiltà. Presunzione, perché è più che ardito pensare di condensare migliaia di eventi in un solo libro. Ma anche umiltà, nel prendere atto che oggi si rischia di perdere la memoria e che quindi bisogna raccontare. Al lettore salta subito all’occhio come in realtà questa nostra Patria non sia mai cambiata. Gli italiani, a differenza degli altri popoli europei, hanno un grande rispetto per ciò che è privato e poca attenzione per ciò che è pubblico».
Tra i racconti letti ha particolarmente colpito la folla quello dedicato agli omicidi degli anni di piombo, soprattutto la storia di Carlo Casalegno. Giornalista e scrittore, vicedirettore de La Stampa trent’anni fa, fu il primo giornalista ucciso da terroristi: il 16 novembre 1977, mentre stava rincasando per il pranzo, fu vittima di un agguato da parte di un commando di brigatisti rossi formato da Raffaele Fiore, Patrizio Peci, Piero Panciarelli e Vincenzo Acella. Si accorsero che Casalegno quel giorno si stava muovendo senza la consueta scorta armata, e colsero l’occasione per pedinarlo e poi sparargli 4 colpi di pistola al volto. Immediatamente soccorso dalla moglie e ricoverato in condizioni gravissime, morì dopo due settimane. Casalegno era un servitore dello Stato, proprio quello Stato che aveva contribuito a costruire attraverso la sua militanza antifascista nel Partito d’Azione. E Il nostro Stato era il titolo della rubrica settimanale che curava, su cui da tempo insisteva sulla necessità di non concedere tolleranza o impunità ai gruppi violenti: «I covi neri e rossi vanno chiusi, i militanti politici trasformati in squadristi debbono essere perseguiti come creatori di reati». Carlo Casalegno sapeva benissimo di rischiare la vita con quelle parole, ma tirò diritto, poiché il suo senso dello Stato era più forte di ogni minaccia.