Tutto è uno
Nata nel 1098 da un nobile di modeste fortune e da una donna che, forse, non sentì mai vicino a lei, Ildegarda era la decima figlia di una famiglia molto numerosa. Il 1098 fu l'anno della crociata dei pezzenti guidata da Pietro l'Eremita. Un segno anche questo, lei che si considerò "una piuma abbandonata al vento della fiducia di Dio" in tutta la sua vita si dedicò ad essere voce della coscienza dell'uomo. Dalla parole prestate a Lucia Tancredi ad Ildegarda, il racconto di quel periodo e della sua nascita, per il secondo appuntamento della rubrica con Ildegarda. La potenza e la grazia, 2010.
«Venni al mondo nel 1098, quando i cristiani credettero di dover vendicare il sangue di Nostro Signore.
Partirono quell’anno orde di uomini di ventura, chierici, bambini, mendici, donne vestite da uomo a cavalcioni sui cavalli, con le reliquie dei santi cucite tra i panni e spade, spiedi aguzzi in mano. Li guidava Pietro detto l’Eremita che si reputava già un santo, poiché le folle lo seguivano e strappavano i peli dell’asino che cavalcava per farne reliquie. Poi seguirono i nobili e i cavalieri con le croci tessute sulla tela dei mantelli e i brandi scintillanti. Camminavano verso Gerusalemme.
Dentro l’anello delle mura la città sfavillava per le cupole a smalti colorati. Là dentro era Gerusalemme d’oro, di rame e di luce, la roccia da cui Dio aveva creato la terra, piantato gli alberi dell’Eden, dove Abramo aveva preparato il sacrificio di Isacco, dove Salomone aveva eretto il Tempio, dove il mal seme d’Adamo era stato mondato goccia a goccia dal sangue di Cristo.
«I crociati fuori dalle mura avevano pregato e pianto. Le cupole d’oro e di smalto mandavano bagliori. Entrarono, per vendicare ogni offesa, e il massacro non ebbe limiti. Ogni uomo venne passato a filo della spada, le donne violate e poi gettate nella gola dei vicoli con i corpi fatti a pezzi, i bambini annegati nelle cisterne. I cavalieri procedevano nel Tempio e nel portico di Salomone col sangue fino alle ginocchia. Poi si lavarono e si mondarono di ogni lordura inginocchiandosi a baciare il sepolcro di Cristo.
La mala novella dei Crociati in Terrasanta la andavano diffondendo per le nostre contrade i puri, i perfetti catari. Adoravano, questi, un Cristo che sapeva d’Oriente, immacolato come l’agnello, che di fronte al male non combatteva, ma si sacrificava rinunciando.
«I catari rinunciavano alla terra che calpestavano, si cibavano di frutti caduti e latte di mandorla, amavano le vesti chiare, le case spoglie, i volti fatti di perla pei digiuni, gli sposi senza congiungimento carnale. Non volevano redimere la materia, poiché il loro Cristo non si era mai incarnato, non aveva calzato sandali, non aveva spezzato pane e carne d’agnello, bevuto vino, non aveva urlato dalla croce.
Questo succedeva quando nascevo.
Dov’era il Signore Dio nostro quell’anno in cui venni gettata nel mondo, femmina, grinzosa come una prugna disfatta, un grumo secco sputato, inutile come un orcio sfondato?
A Oriente erano le preghiere dei Crociati levate con le spade, a Occidente i deboli catari e le loro preghiere pure, di calce: due forze opposte dello stesso spreco, dell’orgoglio umano che sborda.
In quegli anni di tregenda Dio mi chiamò al mondo, perché fossi come la decima dracma della parabola.
Una donna perde la decima dracma e la cerca con la lucerna per tutta la casa fino a quando non la trova. Poi chiama le amiche e le vicine per rallegrarsi con loro.
«Il numero dieci è quello in cui ritorna l’unità, è la tessera mancante che combacia gli orli per mostrare che tutto è Uno. Una è l’acqua, la terra, la fiamma, il respiro del mondo, il seme, il sangue. Dieci è il sigillo che tutto contiene, è la discrezione che non concede agli sprechi.
Ero la decima figlia come la decima dracma, uscita dal ventre vizzo di mia madre».