«Tutto è grazia»
Grazia libertà relazione: nell’intreccio di queste tre parole si esprime l’apporto dell’esperienza e dell’intelligenza cristiana della realtà che siamo e che viviamo.
La prospettiva è senz’altro in prima istanza teologica e antropologica, ma dischiude un orizzonte che investe tutto l’essere e il cosmo, orizzonte entro il quale si può aprire – anche se in modo né scontato né banale – il dialogo tra teologia, filosofia e scienza.
Comincio, in questa prima tappa di riflessione, dalla grazia. Subito mettendo le mani avanti: non si tratta – nel lessico costosamente maturato, lungo i secoli, dal cuore dell’esperienza e dell’intelligenza cristiana – di una parola che intenziona una dimensione meramente affettiva e in definitiva accidentale o persino illusoria della realtà. Si tratta piuttosto di uno sguardo illuminato e abitato – nell’ottica della fede – dalla luce e dall’essenza della verità stessa.
Nel senso che grazia – hesed e rahamin in ebraico, charis in greco – dice il senso e il destino della realtà in quanto essa è originata, informata e orientata dal dono e dal per-dono: per la festa della comunione tra tutti e senza fine.
E ciò a partire da un fatto: che la realtà – come si usa dire comunemente – “si dà”… appunto perché è un dono, un dono che essendo tale è donato e ha senso se a sua volta si dona.
L’esser dono, dunque, dice l’intimo e irriducibile segreto della realtà. Mentre l’esser donato e il farsi a propria volta dono ne dicono il ritmo da cui si sprigiona il profumo della bellezza che la realtà custodisce come qualcosa non di accidentale e contingente, ma di sostanziale e sprigionante il sapore di ciò che vale per sempre.
Dono, dunque, come epifania del senso della realtà.
«La creazione – ha scritto papa Francesco nella Evangelii gaudium – appartiene all’ordine dell’amore»: «può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca a una comunione universale». Sì, la realtà è dono! Ma non solo questo. Perché grazia dice anche, con una determinazione intensificativa e pienamente liberante, per-dono.
Si tratta anche qui di un fatto: che il dono – essendo il senso della realtà – implica non solo l’assoluta gratuità e l’inesauribile eccedenza del suo proporsi, ma anche la gratuità e l’eccedenza del suo essere riconosciuto, accolto e rilanciato, appunto, come dono.
Così, è proprio della natura della grazia quale dono ri-proporsi gratuitamente nell’eccedenza del per-dono: là e quando il dono non sia riconosciuto o venga frainteso o addirittura respinto.
È qui – in questa intensificazione persino sconvolgente del dono che è il per-dono – che la grazia esprime sino in fondo il suo essere e la sua intenzione: far tutti partecipi del miracolo della verità e della gioia della vita.
Questo discorso – espresso sin qui in termini piuttosto astratti – è quello che viene sviluppato in termini personalistici, alla luce del Primo Testamento riletto nel focus dell’amore di Dio incredibile che risplende in Gesù Crocifisso e Risorto, dall’apostolo Paolo nella lettera ai Romani. «Non c’è differenza – egli sentenzia – perché tutti hanno peccato (non hanno cioè riconosciuto il dono di Dio) e sono privi della Luce raggiante di Dio, ma sono resi giusti gratuitamente (per puro dono) per la sua grazia (…) che è in Cristo Gesù» (Rom 3,22b-24).
Per dirlo con una parola di Georges Bernanos, nella pagina finale del suo Il diario di un curato di campagna: «Tutto è grazia!». Tutto, nella realtà, è definitivamente illuminato nella sua essenziale verità dal dono e dal per-dono.