Tutti voi siate fratelli
Nella trasformazione mondiale verso una società sempre più multiculturale e multireligiosa, con l’insorgenza di xenofobie e intolleranze, i Giovani per un mondo unito sono impegnati a promuovere il dialogo, perché il pluralismo religioso non sia causa di conflitti, ma contribuisca a ricomporre nella fraternità l’unità della famiglia umana. Cristiani, buddhisti, indù, musulmani cercano di essere ponti di pace, specie dove c’è violenza. Reagire, con l’amore Per chi vive nei Territori palestinesi la situazione non è semplice: città e villaggi sono quasi completamente isolati a causa del muro di sicurezza. Chi vi abita può uscire solo con permessi speciali. La tensione è alta e aumentano incomprensioni e incomunicabilità. Eppure sono in tanti a cercare di non lasciarsi sopraffare dall’angoscia. Non sono fatti eclatanti, ma sono quelli che nascostamente muovono le cose verso il dialogo. Maria lavora in un programma educativo per i bambini dei Territori, e deve percorrere molta strada per raggiungere villaggi distanti fra loro. Quello che insegna ai piccoli – speranza, amore e rispetto anche verso i nemici – lei stessa deve metterlo in pratica, visto che spesso, quasi arrivata a destinazione, al posto di blocco si vede negato l’accesso ed è costretta a tornare indietro. Maria si chiede quando finirà, ma non se la sente di giudicare o maltrattare a sua volta coloro che le pongono degli ostacoli. Rosy e Giulia invece abitano in Galilea: Con i giovani della nostra città, Nazareth, ci siamo detti che non potevamo rimanere indifferenti a ciò che accadeva a Gaza. Sapevamo che il gas per usi domestici scarseggiava e l’acqua arrivava solo due giorni alla settimana, mentre l’elettricità per tre-quattro ore al giorno. Anche il cibo era poco, gli stipendi non venivano distribuiti da mesi. Così ci è venuta l’idea di fare una raccolta di materiale scolastico, cibo e giocattoli. Abbiamo pensato di coinvolgere gli studenti della scuola a maggioranza musulmana dove insegna Rosy e di altri due istituti, pur avendo un po’ di timore. La raccolta, nel mese di Ramadan nel quale i fedeli sono invitati a dare, ha avuto un grande successo e gli studenti hanno aderito con entusiasmo. Abbiamo poi preparato pacchi regalo per gli amici di Gaza e procurato i permessi necessari per recapitarli. Normalità N’didi, musulmana, e Joseph, cattolico, entrambi di Chicago sono coinvolti in un dialogo della vita tra cristiani e musulmani afro-americani: È stato come quando degli estranei si conoscono per strada e diventano grandi amici – comincia N’didi -. Nell’eterogenea cultura americana, fatta di etnie, religioni, stili di vita e convinzioni, è facile rimanere comodi nel proprio gruppo. Abbiamo costatato cambiamenti positivi e anche negativi dall’11 settembre 2001. Ma anche prima avevamo ravvisato un cambiamento positivo da quando Chiara Lubich e W.D. Mohammed avevano avviato un dialogo nella moschea Malcolm Shabazz ad Harlem, New York, nel 1997. Per noi e per molti altri era chiaro che fosse ora di metterci insieme per poter mostrare che, nonostante tutto, la fraternità è possibile. Più che un semplice dialogo tra religioni e culture – aggiunge Joseph -, è un dialogo della vita, in cui troviamo gli uni negli altri la forza e la speranza di costruire un mondo più unito. E sai qual è il bello? Questa esperienza di costruire una famiglia non sembra più straordinaria. Posso parlare apertamente sulle mie convinzioni con gli amici musulmani. Nello stesso tempo non possiamo fermarci alle nostre città, dobbiamo andare avanti verso la solidarietà mondiale. Sarajevo Quando invece chiedo a Vedran e Janja di raccontarmi le loro esperienze di giovani musulmani e cristiani a Sarajevo, mi guardano letteralmente stupiti: Per noi è normalità . Certo, mi spiegano, la loro città è conosciuta come crocevia di diverse culture e religioni; e, mentre da un lato questa diversità può esse- re una fortuna, dall’altro la vita diventa impossibile se non c’è dialogo. Come quando infuriava la guerra, che è finita ma lasciando ferite aperte. Noi ci sentiamo fratelli. Partecipiamo alle nostre rispettive feste: al Natale con cattolici, Pasqua con gli ortodossi, con i musulmani al Bairam. Ai nostri appuntamenti vengono persone di tutte le religioni e insieme cerchiamo di vivere questo ideale della fraternità universale e di diffonderlo nelle nostre rispettive comunità, nelle parrocchie e nelle moschee, nelle famiglie. Ma concretamente cosa fate?, chiedo loro. Cerchiamo di andare verso gli altri senza far distinzioni. Poi, quando ce n’è l’occasione, come una preghiera per la pace, diamo insieme testimonianza della fede nel Dio unico. A volte ci chiedono: Ma questo mondo unito è possibile anche a Sarajevo? Rispondiamo solo: Venite a vedere. Amicizia e musica Artis e Num sono buddhisti. Come tutti i ragazzi del loro Paese hanno frequentato un monastero a Chang Mai, nel nord della Thailandia. È stato da un monaco che hanno sentito parlare per la prima volta dei Giovani per un mondo unito. Arrivato a Bangkok per frequentare l’università – racconta Artis – ho conosciuto tanti nuovi amici cristiani e buddhisti che vivevano la stessa vita. Presto anche il mio amico Num è venuto con me. Quando ho conosciuto i nuovi amici di Artis – continua Num – anche se la maggioranza sono cristiani, mi sono sentito a casa. Mi è venuto spontaneo vivere come loro, cercando di amare concretamente. Noi due siamo membri, ad esempio, di un complesso musicale e suoniamo in un locale per mantenerci all’università. Avendo saputo che uno dei nostri nuovi amici cattolici, pure lui musicista, cercava lavoro, è stato naturale proporgli di unirsi al nostro complesso. La band è ora composta da cinque ragazzi buddhisti e da un cattolico, e con le loro canzoni diffondono lo spirito di unità e di pace da loro condiviso. Recentemente hanno partecipato e vinto il primo premio ad un concorso tra più trecento complessi di Bangkok. È stato naturale festeggiare l’evento insieme e ringraziare i nostri amici cattolici per il loro sostegno e la loro preghiera – afferma Artis -. E sempre mettendo a frutto i nostri talenti musicali abbiamo organizzato diverse attività per raccogliere fondi per le vittime del terremoto in Pakistan dello scorso anno. Abbattere i muri L’isola di Mindanao, la seconda per grandezza delle Filippine, conta una forte presenza islamica ed è purtroppo famosa per gli atti terroristici del Mnlf (Moro National Liberation Front). La città di Marawi, a nove ore di pullman a Sud di Davao, è sede della Mindanao State University. Vi studiano Jenifa e Adrian. Jenifa appartiene alla tribù musulmana di Maranao: Fin da piccola ho appreso dai miei genitori a rispettare tutti, indipendentemente dalla loro razza, dal loro credo o dallo stato sociale. Poco tempo fa, la serenità sul volto di mia madre – che aveva da poco incontrato i Focolari – mi ha spinta a conoscerne il segreto. È stato così che ho iniziato anch’io a frequentarli. Si è rafforzata in me la fede in Dio e la sfida quotidiana a diventare una musulmana migliore. Il vivere alla Mindanao State University con studenti provenienti da tutta l’isola mi ha aiutata a conoscere di più i miei fratelli cristiani e ho scoperto quanto sia vero che ciascuno di noi è unico, creato da Dio e per questo degno di rispetto. Adrian invece viene da un’altra esperienza e non si vergogna a dire che, arrivando all’università, era pieno di pregiudizi. Questo ateneo è gestito da musulmani ed è conosciuto come uno dei migliori dell’isola. Vi sono arrivato con una borsa di studio e non nego che all’inizio avevo dei forti pregiudizi nei confronti dei musulmani; ma non avevo altra scelta. Poi ho incontrato i Giovani per un mondo unito, i quali mi hanno fatto capire che la discriminazione può influenzare negativamente i rapporti sia a livello personale che sociale. Ho sperimentato poi che solo incontrando il prossimo senza pregiudizi posso costruire la pace, anche nello studio in una comunità musulmana. Ancora Jenifa: Inizialmente rimanevamo tra musulmani aderenti ai Focolari, ma ad un certo punto ho sentito l’esigenza di incontrarci anche con i giovani cristiani che partecipavano ad incontri come il nostro, ma separatamente. È stato l’inizio del nostro dialogo. Ora ci ritroviamo insieme, una volta al mese, e scopriamo quante cose abbiamo in comune.