Tutti vogliono rimanere in Francia

Parliamo dei 68 migranti accolti nel centro di stransito di Forum réfugiés a Villeurbanne in seguito allo smantellamento dell’enorme campo profughi di Calais. E torniamo sul tema dell’ « operazione umanitaria » portata avanti dallo Stato
Calais

È fatta: la più vasta bidonville d’Europa è stata smatellata. Questo campo di migranti allestito a Calais, città del nord della Francia e avanposto verso la Gran Bretagna, si è svuotato di colpo la settimana del 24 ottobre. La « giungla », come era stata chiamata – non per il clima triopicale, ma per il suo apsetto caotico e inospitale – si estendeva su 4 km quadrati, e ospitava 6486 persone di cui 1291 minori non accompagnati. Solo le scuole, le chiese e le moschee di fortuna sono state risparmiate: « Finché ci sono dei migranti nel centro d’accoglienza provvisorio non verranno demolite», ha assicurato la prefettura. Lo Stato francese ha così portato a termine la sua «missione umanitaria» : dalle 5 alle 6 mila persone sono state prese in carico e redistribuite nei 450 centri d’accoglienza e d’orientamento (Cao) in tutto il Paese. Nota dolente in tutto questo: 3 mila persone circa sarebbero sfuggite all’operazione, per paura di on ottenere l’asilo politico ed essere espulse, oppure per seguire il sogno di raggiungere l’Inghilterra.

 

Spirito di  solidarietà

«In due giorni abbiamo fatto quello che abitualmente si fa in due settimane», afferma Patrick Jean,  a capo del centro di transito di Forum réfugiés a Villeurbanne. Al centro sono arrivati in due tornate 68 uomini, soprattutto sudanesi e afghani. «Li ho trovati esausti al loro arrivo, soprattutto quelli che hanno vissuto a lungo nella giungla. Erano felici di aver trovato un luogo dove dormire sodo, su un letto vero, e avere accesso ad una doccia individuale. Tra di loro c’è spirito di solidarietà, e quelli che sono arrivati sono stati accolti sotto l’ala dei residenti: alcuni hanno portato loro da mangiare, altri sono andati in cerca del necessario nel supermercato più vicino».

In questo centro di transito potranno rimanere per circa due mesi, e saranno accompagnati sotto diversi punti di vista: adempimenti amministrativi e giuridici, salute, apprendimento del francese ed altro ancora. Sono previste delle visite guidate perché possano conoscere i vari luoghi della città: la prefettura, i ristoranti preferiti, Emmaüs (il movimento fondato dall’Abbé Pierre, ndt), i negozi più economici, i mercati, ed altro ancora. «Sono arrivati in una città che non conoscevano, e la prima difficoltà è stata quindi quella di muoversi in maniera autonoma per le attività quotidiane – spiega Patrick –. I giovani, ad esempio, fanno mlto volentieri sport : i volontari possono accompagnarli a fare attività sportive o altre uscite. Il tempo è ciò che serve di più» precisa, per coloro che vorrebbero aiutare.

 

Il tempo per la fiducia

Questi uomini non si sentono a proprio agio davanti alle domande dei giornalisti, avidi di testimonianze sul loro percorso e i loro progetti. Sono stati messi parecchio sotto pressione dalla stampa locale e regionale al loro arrivo a Villeurbanne – una troupe televisiva è rimasta 24 ore –; e a Calais, durante l’operazione di smantellamento, erano presenti oltre 800 operatori dell’informazione da tutto il mondo. Dei giornalisti di Le Monde( http://www.lemonde.fr/actualite-medias/article/2016/10/27/journalistes-a-calais-la-loi-de-la-jungle_5021114_3236.html#8x0XqEJdOd2ClTzz.99)hanno espresso il loro profondo disagio davanti a questa copertura mediatica dalle tinte mostruose : « Questi uomini, queste donne, questi ragazzi, si trovano ad un momento cruciale delle loro vite, hanno una scelta molto importante da compiere ; e noi li bracchiamo con i nostri taccuini e i nostri microfoni, li interroghiamo con insistenza quando loro stessi hanno difficoltà a capire dove si trovano e che cosa li attenda». Non sorprende dunque il fatto di ritrovare questa diffidenza a Villeurbanne: «Il clima di fiducia non si è ancora creato  tra noi, è una cosa che non si costruisce da un giorno all’altro. E la maggior parte delle persone vuole togliersi di dosse l’etichetta di rifugiato : tutti hanno il desiderio di rimanere in Francia » confida Patrick. Anas dalla Birmania ha dichiarato a La Croix : « Oggi spero di ottenere lo status di rifugiato, anche se non mi piace questa parola perché le persone ci guardano in maniera diversa. Sono un semplice essere umano che cerca una vita dignitosa, non voglio dare fastidio a nessuno».

Traduzione di Chiara Andreola

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