Tutti velisti!
Oitalico popolo di navigatori! Siete già stati catturati dall’evento della 32ª Coppa America di vela, facce esposte al vento catodico, ben piazzati nel pozzetto – asciutto – del vostro divano preferito? Ci perdonino gli appassionati di regate televisive per questo incipit un po’ ironico, ma questa vela proprio non ci scalda il cuore come vorremmo: troppi sponsor, un mondo globalizzato all’estremo, skipper mercenari. Due parole di (gloriosa) storia. L’America’s Cup resta comunque il più antico, blasonato e affascinante modo di regatare. Nasce nel 1851 da un peccato di presunzione inglese, come regata per mostrare la supremazia navale sul mare. Britannia, rule the waves ( Britannia, governa le onde) era il canto spavaldo dei sudditi della Regina Vittoria che si inventarono la Coppa delle 100 ghinee. Che epico castigo! Da oltre oceano si presentò la goletta America che vinse e si portò la Coppa negli Usa. Non solo, laggiù è rimasta per 132 anni! Solo nel 1983 l’Australia infrangerà il mito americano, poi sarà la Nuova Zelanda a dominare (1995 e 2000), fino a quando il nucleo chiave di New Zealand passa alla svizzera Alinghi, e la finale del 2003 – c’era Luna Rossa, ricordate? – non ha storia. Ora tocca alla meravigliosa Valencia ospitare le regate, visto che di mare in Svizzera non ce n’è. Il formato della 32ª America’s Cup mantiene inalterata la formula, con la sola novità di una serie di regate (Acts) disputate dal 2004 a oggi. La formula è la seguente: prima si disputa la Louis Vuitton Cup per individuare lo sfidante ufficiale (il challenger) del detentore del titolo (il defender, in questo caso Alinghi). Undici le barche in gara (di 10 nazioni, di cui 3 italiane: Luna Rossa, Mascalzone Latino e + 39) che si stanno già affrontando in due gironi chiamati Round Robin. Le regate sono con formula match race (uno contro uno). Per ogni vittoria due punti. Le prime in classifica accederanno alle semifinali (14-25 maggio) e poi alla finale, dal 1° al 12 giugno. Il vincitore della Louis Vuitton Cup e Alinghi disputeranno la vera Coppa America, dal 23 giugno al 7 luglio, al meglio delle 9 regate. Lo sappiamo che basta guardarsi La 7 per essere inondati di notizie e immagini, ma provate comunque a leggervi le righe che seguono per capire almeno un po’: 1. Il vento e perciò le andature di una barca a vela. 2. Come è messo il campo di regata. 1. Il vento e la sua direzione di provenienza sono la cosa fondamentale. Una barca a vela procede infatti con andature differenti a seconda di come prende il vento. Semplificando sono 4: poppa, lasco, traverso, bolina. A noi basta capire la poppa e la bolina. La poppa è intuitiva: il vento soffia sulle vele da dietro, c’è lo spinnaker aperto, la barca procede per spinta. ( disegno A2). Dove si deve invece fare uno sforzo di fantasia è l’andatura di bolina (A1, ma anche B1 e B2). Qui sta la meraviglia degli scafi moderni. Le vele -ben tese- lavorano non per spinta come in poppa, ma con un effetto di aspirazione, come fossero delle vere ali, e la barca risale contro vento (stringe il vento) per angoli più o meno notevoli ( B2). Ovvio che più una barca stringe e meglio è. Ma siccome si deve navigare proprio nella direzione del vento per raggiungere la boa sopravvento, ecco che entra un gioco una bolina più perfetta possibile, e si devono tirare dei bordi, procedere insomma a zig-zag. 2. Il campo di regata: è un percorso a bastone, in sostanza due boe posizionate una verso il vento (la prima da raggiungere) e una sottovento. Un buon paragone è quello di pensare al campo di regata come ad un pendio. Il punto da dove viene il vento (la nuvoletta di Eolo dei disegni sopra) ne è la sommità, mentre quello dove il vento va è il fondo valle. La partenza è da sotto, e perciò si inizia puntando alla boa 1, proprio risalendo il vento di bolina – come avete appena imparato – perciò con una serie di virate per quante volte sarà necessario. Girata la boa in alto si torna giù, verso la boa sottovento stavolta con vento in poppa. Due giri, con arrivo di poppa. Ora sareste anche pronti a godervi il match race. È proprio il match race, e cioè la sfida tra sole due barche, che rende affascinante la Coppa America, perché ha il sapore dell’antica battaglia navale a cui si ispira. Valorizza il timoniere, l’equipaggio, le scelte tattiche, obbliga a prendersi rischi, può capovolgere i pronostici! La partenza è la più ricca di suspense, e può cambiare l’esito di una regata. Nei cinque minuti che precedono l’inizio scatta la fase della pre-partenza: con manovre spettacolari, da arena (come il circling che vede le barche rincorrersi in cerchio) si cerca di tagliare la linea di partenza per primi, dal lato migliore e solo allo scadere del tempo, allo sparo del Via! Non un attimo prima, a prezzo di tornare indietro e rifare la manovra. Poi via con la prima bolina. Se la marcatura è stretta, si assiste poi a sorpassi, incroci, coperture, furti di vento, blocco delle mosse dell’avversario: la regata può diventare un capolavoro di tattica e di strategia. Sempre poi si devono fare i conti con Sua Maestà il Vento: non solo per l’intensità con cui soffia (o fa sciopero) sul campo di regata, ma anche per i salti di provenienza, che possono scombinare i piani anche di chi stava per vincere. Nell’augurarvi Buon vento e buon divertimento, ci permettiamo un suggerimento. A Coppa America finita non aspettate quattro anni per vedere una vela. Cercatevi voi una barchina a vela usata: per tre-quattro metri bastano poche centinaia di euro, un po’ di scuola di vela, la complicità dei figlioli. Pensate alla possibilità di fuggire alla chetichella dalle spiagge olezzanti di creme dopo-sole e discorsi da ombrellone senza manco lo sponsor: altro che America’s Cup!