Tutti quei bambini, in campo con noi
“Sono un allenatore fortunato: ho vinto tanto, ma l’ho fatto barando, perché in campo noi non siamo solo 12, ma molti di più. . .”. Quelle parole pronunciate da Gian Paolo Montali, dopo aver portato gli azzurri del volley al titolo europeo, non potevano certo passare inosservate. Anche perché quelle persone in più sono le decine di bambini adottati a distanza dal team azzurro grazie alle multe comminate da Montali ai giocatori ogni volta che squilla loro il telefonino nei momenti non consentiti. Brillante ed autoironico, Montali non ha alcuna intenzione di sottrarsi alla nostra curiosità. “Perché è vietato il telefonino in pullman o nei momenti insieme? Quando si sta insieme per ore – spiega -, bisogna conversare, riscoprire il rapporto guardandosi negli occhi, conoscersi: è indispensabile per non trovarsi a giocare da soli. O leggere un libro, anche il più banale, una rivista, ma leggere, leggere”. Quello di Montali non è solo un incentivo ad una pratica oggi in disuso. In un solo quadrimestre ha portato nel club azzurro quello che lui chiama “uno stile di vita, dove i giocatori si riconoscono, dove si sentono consapevoli di quello che stanno facendo”, fatto di motivazioni e regole, gli ingredienti che considera indispensabili per fare di un gruppo un team, ed un team vincente: “Il mio lavoro è motivare al massimo i giocatori – precisa -, far loro comprendere che la fortuna di ognuno dipende esclusivamente dal successo del collettivo. Diventare un buon giocatore di squadra significa capire il proprio ruolo e mettere in disparte l’orgoglio personale a vantaggio del gruppo. E poi il concetto fondamentale che se un giocatore non è abituato a rispettare delle regole nella vita, nel quotidiano, non ne sarà mai capace in un gioco di squadra”. I giocatori che lo hanno avuto come allenatore, a Parma come a Treviso, ad Atene come a Milano, ed oggi quelli che vestono la maglia azzurra, sanno che Montali è un coach abituato a dettare le regole sul campo, ma anche fuori. Cose semplici, non esagerate: rispetto dei compagni e dell’allenatore, del luogo di lavoro, della puntualità, delle scelte fatte insieme. “Credo che il rispetto di quelle regole sia fondamentale – spiega – per fare gioco di squadra. Che sia chiaro che ciò che più mi interessa non è il rispetto di una regola: è ottenere la condivisione delle regole. Una volta fissate insieme, esse vanno poi rispettate: niente ritar- mangiare e mantenendolo negli studi”. Nell’ambiente sportivo le multe non sono una novità, ma di solito il ricavato viene speso in cene o festeggiamenti: “Tutte cose effimere – commenta -. Con questa novità succede che quando ci manca poco per raggiungere i 350 euro” ci inventiamo le multe, perché uno si è alzato prima dal tavolo, o ha un ritardo minimo, e tutti pagano molto volentieri!”. Gli chiedo se anche lui ha preso multe. “Tantissime – ammette -. Non arrivo mai in ritardo, ma qualche volta succede che i miei collaboratori si accorgono che non ho spento il telefonino e mi chiamano, per farlo squillare. E arriva la multa. Del resto se un capo vuole acquisire una leadership, deve essere il primo a rispettare le regole”. Sul ruolo dell’allenatore Montali è un fiume in piena. “Do tutta la mia competenza, il mio stile, il credere ciecamente nelle cose che faccio. Non ho la bacchetta magica: sono solo” un raccordo tra il talento di ciascuno ed il suo successo. Non vorrei essere blasfemo, ma cerco di essere come un piccolo parroco di una piccola comunità, in cima ad una montagna, che cerca di raccordare le cose, di convogliare persone dotate di qualità, indirizzandole per quello che è il loro obiettivo. Se io non facessi l’allenatore, ma il medico, come pensavo, farei la stessa cosa in un reparto medico”. Per questo è molto attento al rapporto con i giocatori: “Non c’è allenatore oggi, che non sia preparato sul piano tecnico: è nella comunicazione fra allenatore e atleta – spiega – che ci sono ancora molte cose da scoprire. Quando chiedo a 12 atleti se hanno compreso una mia indicazione rispondono tutti di sì: in gruppo non diranno mai di no. Ma è dalla postura di un giocatore, dal suo atteggiamento, sanitadall’agrottamento delle sopracciglia, dallo sguardo che occorre trarre segnali. Ed invertire la responsabilità sulla comprensione chiedendogli, come mi capita spesso: “Scusami, sono di Parma, parlo velocemente e mi mangio le parole: mi puoi ripetere quello che ho appena detto. Ho paura di non essere stato chiaro”. Non ha rimpianti per quella laurea messa in un cassetto: il tanto bistrattato libro di farmacologia, che conserva come ricordo, è scarabocchiato di schemi di gioco e di formazioni. Quelle delle giovanili di Parma con le quali, da giovane tecnico, ha vinto 4 titoli italiani e per le quali ha lasciato camice e bisturi: “La mia testa non era mai sul libro, ma su altre cose” confessa. Da allora ha collezionato quattro scudetti in Italia, uno in Grecia, un titolo mondiale ed uno europeo di club. Con sé, in panchina, porta una cartella, nella quale, tra schemi di gioco, schede sugli avversari e formazioni, spunta una foto, una lettera ed una pagella di un bambino eritreo, uno dei primi adottati: “Mi aiuta a rendermi conto – spiega -, sia nei momenti di difficoltà, che quando le cose vanno molto bene, di essere riuscito a fare qualche cosa in più che non sia soltanto vincere una partita, perché poi, comunque, le partite finiscono”. Altre foto, come quella, Montali le ha fatte appendere nello spogliatoio e quei bambini “entrano in campo” al fianco dei suoi giocatori, con i loro volti carichi di angosce e speranze. Ma lo spogliatoio è tutto tappezzato anche di tazebao e messaggi finalizzati ad alimentare le motivazioni degli atleti: ritagli di giornali, critiche letterarie, recensioni cinematografiche, frasi di Shakespeare come “La vita di un uomo non è altro che il tempo di dire: uno!” o strisce di Charlie Brown tipo “Vincere non è tutto, perdere è nulla “. Montali è alla continua ricerca di messaggi sempre appropriati alla situazione che la squadra si appresta a vivere e utili, spiega, “a dare senso alle cose che stiamo facendo, a renderci conto dell’irripetibilità delle occasioni e ad invitarci a viverle intensamente”. Fra i più ricorrenti anche brevi brani dei Promessi sposi, della Bibbia e del Vangelo “un libro straordinario: se la gente lo leggesse veramente se ne innamorerebbe “.