Tutti in piedi per le azzurre
Nelle ultime settimane il calcio femminile è sulla bocca di tutti. Le azzurre sono approdate agli Ottavi di finale del Mondiale di Francia (giocheranno martedì 26 alle 18 contro la Cina) agguantando il primo posto nel girone di ferro con Brasile, Australia e Jamaica. 7,3 milioni di spettatori le hanno seguite nell’ultima partita contro il Brasile, numeri che segnano evidentemente una svolta sportiva per il calcio femminile nazionale.
Oltre le strumentalizzazioni di genere
Molte testate giornalistiche hanno colto l’occasione per fare analisi e valutazioni che oltrepassano l’aspetto meramente calcistico e aprono il dibattito sul tema della parità, scatenando la rivalsa delle femministe. Non dovremmo. Stavolta non dovremmo proprio cadere in tutto ciò. Dovremmo smetterla di cercare di far parlare le nostre ragazze su questi temi, tentando di rendere il Mondiale di Francia uno spot al femminismo e alla parità. È l’ora di smetterla di strumentalizzare gli eventi per poter scrivere un’affermazione scoop o manifestare una netta presa di posizione di qualcuno.
Qui non si parla di femminismo o parità. Le azzurre sono al di là di tutto questo. Lo fanno vedere ogni volta che scendono in campo. Stanno partecipando alla più prestigiosa delle competizioni calcistiche, tutte con la loro incredibile storia, costruita a suon di sacrifici e attraversando le scomode incongruenze della situazione che le circondava fin dai primi calci fanciulleschi.
Il calcio come spazio culturale
In Italia, il gioco del calcio, va ben oltre i servizi tv e i soldi che i giocatori guadagnano in serie A. È un elemento culturale all’interno del quale ogni italiano cresce, maschio o femmina che sia. Una realtà con la quale ogni bambina si confronta fin dalle scuole elementari e anche prima. La ragazza vive l’impatto col calcio in maniera personale, ha un suo percorso di avvicinamento e di scoperta che spesso prende le mosse dalla famiglia, dal padre, dai fratelli. L’argomento calcio, in ogni caso, è quasi impossibile da evitare e allora fin da subito il bambino o la bambina lo collocano in uno spazio importante di relazione familiare e sociale (e di questi tempi ben vengano questi spazi!). Come altri giochi o attività, il calcio è prima di tutto stupore, emozione, scoperta di sé e delle proprie capacità individuali e in rapporto a una collettività.
Dal “fuori luogo” al sogno mondiale
I numeri che troviamo nel grande libro della storia dei Mondiali di questo sport, (vinti nel 1934-1938-1982-2006) dicono che facendo un rapporto tra popolazione e coppe del mondo in bacheca, la nostra tradizione è la più importante a livello mondiale. Cioè, tradotto, che questo sport è nel cuore di questo Paese. Ci siamo quasi del tutto limitati al maschile fino ad oggi. Lo sviluppo del femminile è stato particolarmente lento, soprattutto alla luce del grande seguito che ha da sempre ottenuto con gli uomini. Una differenza tanto grande quanto inconcepibile.
Ho avuto la fortuna di conoscere alcune calciatrici negli ultimi vent’anni e confesso di averle stimate sempre, una ad una, nelle varie età in cui le ho incontrate (con alcune ho giocato contro in età adolescenziale). La difficoltà nel poter esprimere liberamente questo aspetto storicamente culturale del loro Paese le ha portate a giocare con i maschi per tanti anni. Praticamente tutte le azzurre che vediamo in campo in questi giorni sono dovute passare da questa “insolita gavetta”. E forse proprio in questo timoroso passaggio hanno forgiato tanti lati del loro carattere che le rende così determinate. La verità, però, è che non esisteva un luogo adatto alla chiamata che sentivano dentro. Hanno dovuto vivere con imbarazzante continuità l’esperienza del “fuori luogo”, che nel delicato periodo dell’adolescenza è di gran lunga peggiore del fuorigioco. E come ogni racconto che tesse nuove trame nella storia, è dal “fuori luogo” che ognuna delle azzurre comincia la scalata al sogno mondiale.
Negli altri Paesi
In diversi Paesi del mondo, il calcio è uno sport praticato perlopiù dalle donne. Troppo poco “macho” per gli uomini. In questi posti, le ragazze hanno trovato subito delle strutture pronte ad accogliere l’evidente slancio sportivo presente in loro. Hanno incontrato persone e istituzioni che le hanno accompagnate e stimolate a nutrire questa naturale passione calcistica e il talento che già mostravano. Nel Nord Europa, nel Nord America, in Oceania ma anche in diversi paesi di Asia e Africa la tradizione del calcio femminile supera quella maschile, a testimoniarlo ci sono i risultati a livello internazionale ma anche dei progetti giovanili e delle scuole calcio sempre più professionali.
E badate bene, non c’è da cadere nell’erroneo pensiero che tutto questo movimento si sviluppi per imitazione al maschio o per una presunta parità rivendicata. L’esempio lo abbiamo in casa.
Verso una nuova era
Le nostre azzurre che con grande curiosità stiamo guardando su Sky e per la prima volta in Rai, hanno dovuto lottare un centimetro di cuore alla volta per poter varcare l’erba del Campionato mondiale di calcio femminile. In questo evento, però, è il caso di dire che per motivi legati alla loro storia umana, sono diverse da tutte le altre “donne mondiali”. Hanno lo spirito battagliero delle persone umili, che hanno sofferto ogni “passaggio di rosa” dai 10 anni in poi per potersi trovare in un unico team femminile. Hanno lo spirito di appartenenza dei bobbisti giamaicani di Calgary 1988 e del celebre film Quattro sotto zero, l’ardore e l’unità dell’Islanda che ha sorpreso il mondo nelle ultime competizioni maschili, la tenacia di Jesse Owens nell’affrontare le olimpiadi di Berlino 1936, la sfrontatezza rivoluzionaria di Bjorn borg con il rovescio top spin a due mani… sono insomma donne tutte d’un pezzo, che giocano con la gioia delle bambine, ma con la forza di chi porta addosso il peso di una trasformazione in atto e il marchio sportivo e culturale della loro storia italiana. Lo sanno bene anche le ragazze non selezionate dalla nostra Ct Bertolini, che non sono a “gufare” sul divano o sulle spiagge di Ibiza (come farebbe o ha fatto qualcun altro?) ma si ritrovano assieme per tifare le compagne che in Francia stanno realizzando anche il loro sogno!
Nossignori. Nossignore. Qua non c’è davvero da fare nessuna analisi opportunista o da postare inutili polemiche di rivalsa sessista sui social. Perché le vere rivoluzioni accadono per un processo naturale e attraverso interpreti che le vivono seguendo spontaneamente i passi successivi della storia che hanno alle spalle.
Niente polemiche no. C’è solo da alzarsi in piedi ad applaudire l’esempio di umanità di queste “meraviglie d’Italia”. C’è da sostenerle. Da gioire per la grandezza di questa impresa sportiva che non finisce. Non perché sono donne ma semplicemente perché ce l’hanno fatta. Vada come vada in Francia, tutte loro (anche quelle a casa) hanno già trionfato, hanno finalmente aperto una nuova era per il calcio italiano.