Tutti per la Bohème

L'opera di Puccini è la più rappresentata in assoluto nei teatri del mondo. A Roma va in scena fino al 26 giugno
Teatro dell'Opera di Roma

Nove recite- fino al 26 giugno – e non bastano. Perché la Bohème di Puccini fa sempre il tutto esaurito, anche questa volta al Teatro dell’Opera di Roma, come in tutto il mondo. Non per nulla è l’opera più rappresentata in assoluto, dal 1896, senza mai un attimo di stanchezza. Piace a tutti, ai giovani soprattutto, che da sempre, come anche oggi, a sorpresa, affollano i teatri. Il segreto è semplice.

 

Bohème è un’opera scritta da un giovane per i giovani e con personaggi giovani. I quattro artisti squattrinati nella Parigi “dai cieli bigi”, non sono forse simili alle decine di ragazzi che sono disposti a qualunque sacrificio pur di realizzare i propri sogni? Nella soffitta parigina il pittore Rodolfo incontra Mimì “gaia fioraia”: è amore a prima vista, festa nel Quartiere latino (oggi in discoteca), ma anche miseria, litigi, separazioni. E il ricongiungimento finale quando la ragazza, malata in un inverno gelido, muore tra le braccia di Rodolfo, non è un omaggio ad una romanticheria, ma la dolorosa fine di un amore della giovinezza. Uno di quegli amori freschi, rapidi che restano indimenticabili perché sono i primi, quelli più veri ed unici.

 

La freschezza della musica di Puccini percorre i quattro veloci atti, e non stanca mai. Gran maestro di teatro, il musicista lucchese rende l’orchestra un tappeto scintillante da cui emergono ariosi e romanze oggi popolarissime, eppure non sanno mai di abusato. Anche se i cantanti non sono eccezionali e la messinscena datata, queste musiche restano impresse nella memoria, tanto sono vere ed immediate. Non c’è una nota stonata in quest’opera, dove la melanconia pucciniana per la fuggevolezza della gioia e dell’amore, si unisce ad esaltarne la bellezza in un modo che tuttora, per chi non abbia un cuore di pietra, ci si commuove per davvero.

 

L’edizione romana, diretta con calore e passione da un navigato – e innamorato di Puccini – come James Conlon ha ottenuto una prestazione eccellente da parte dell’orchestra (memorabili i violini e i legni) e molto significativa da parte di un cast, dove brillavano il Rodolfo di Stefano Secco (cui si consiglia attenzione alle sfumature) e la Mimì di Carmela Remigio, oltre al contributo sempre valido del coro (e delle voci bianche dirette da Gea Garatti Ansini).

Scene tradizionali, ma efficaci di Pierluigi Samaritani e regia equilibrata di Marco Gandini. Per una volta un allestimento ha rispettato la musica anzi le ha dato respiro, cosa ormai rara nei teatri d’opera dove registi che non conoscono (o non amano!) la musica, la stravolgono con i loro personalismi.Qui invece la musica l’ha fatta da padrona. Com’ è giusto e come il pubblico entusiasta sa cogliere.

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