Tutti i nostri desideri

Molti i film in uscita in questo fine settimana che precede il Festival di Cannes. Ne offriamo una selezione, consigliando vivamente l'ultimo lavoro di Philippe Lioret, di struggente, umana bellezza
Tutti i nostri desideri

100 metri dal paradiso Era da tempo che non si vedeva una commedia garbata, stile anni Cinquanta, briosa e una volta tanto senza inutili volgarità. La storiella è esile come una favola, ma convincente. Al dinamico monsignore Angelo Paolini (Domenico Fortunato) viene l’idea di portare alle Olimpiadi londinesi una squadra atletica vaticana. Apriti cielo, è proprio il caso di dirlo. In Vaticano l’ossuto cardinale teutonico Higghins (Ralph Palka) è contrario, ma Paolini se le inventa tutte – non le diciamo per non togliere il divertimento – e la spunta, anche perché c’è un Segretario di Stato (Mariano Rigillo, alias cardinal Bertone) che gli fa da spalla. Paolini convince il depresso ex sportivo Jordi Mollà a farci entrare il giovane promettente atleta, suo figlio Tommaso (Lorenzo Richelmy), che addirittura vuol farsi frate. E la cosa si fa, con l’aiuto dell’allenatore Giorgio Colangeli.
 
Snello, veloce e con una serie di gag spiritose, specie di Colangeli, il film respira leggerezza, non senza tocchi commossi e verità snocciolate con nonchalance (il rapporto padre-figlio, la Chiesa vera senza cliché, una “vocazione religiosa”, l’amore…) e uno stuolo di attori in forma. Il gioco di squadra è riuscito. Il capitano, Domenico Fortunato, che assomiglia a un Carlo Verdone senza tic, manie e pessimismi, bensì giocoso e umano, è formidabile. Della serie: ci si può divertire, rilassare e pensare senza le solite stupidità delle cosiddette “commedie all’italiana”. Raffaele Verzillo, regista, ha ritmo, buon senso, sa estrarre il meglio dagli attori e si diverte anche lui. Meno male, così ci divertiamo anche noi.
 
Dark Shadows (Ombre nere) Riecco Tim Burton e l’attore feticcio Johnny Depp. Ma anche Michelle Pfeiffer, Helena Bonham Carter, Eva Green. Un grappolo di star per l’ultima opera del fantasmagorico regista che si inventa una favola gotica niente male, un melodramma vampiresco di amore e morte, sconfitta e vittoria. Rivisitato con lo spiritello caustico, ironico e, perché no?, compiaciuto di un regista che porta sullo schermo Barnabas Collin, personaggio della serie cult della tivù americana. Con un Depp fascinoso nel pallore cadaverico e sanguigno di un innamorato, trasformato in vampiro dalla strega non riamata, e risorto dopo duecento anni, nel 1972.
 
Ovviamente, Burton-Depp si divertono a ironizzare sui contrasti fra le due epoche storiche. Esilarante la scena in cui Barnabas-Depp vede una grande scritta “M” e pensa subito a Mefistofele, il demonio, mentre invece si tratta dell’insegna di un McDonald (ma non sarà questo un diavolo d’oggi?, chi lo sa cosa passa per la testa del duo Burton-Depp), e quella della serata con gli hippies (briose caricature del regista) che il buon Depp si succhierà uno a uno.…
 
Cose di questo genere se ne trovano lungo un film fantasioso, barocco, a cominciare dalla camminata da damerino di D a cui fa da riscontro Eva Green nella parte di una strega vamp, che, vedi un po’, ha qualcosa che sta fra Marilyn Monroe e Madonna. Potenza dell’ironia di Burton.
 
Diverte, la favola nera dove sono i piccoli ad avere il contatto con l’aldilà, forse perché sono ancora innocenti. Mentre gli adulti si giocano le vite in duelli orrorifici all’ultimo sangue. Per chiudere con l’amore, filo rosso di un film forse un po’ logorroico, ma comunque sospeso tra fiaba crudele e crudele (anche se non si vede) considerazione sull’ingorda avidità del nostro tempo.
 
Isole Poesia minimale dolce e triste quest’opera dell’abruzzese Stefano Chiantini. Poesia di silenzi infiniti e profondi, quello del vecchio prete malato, don Enzo (un irsuto, commovente Giorgio Colangeli), che protegge la figlioccia muta Martina (Asia Argento, dallo sguardo parlante), nel suo trepido amore per l’immigrato Ivan (Ivan Franek), dall’incomprensione dell’acida sorella del prete, Wilma (una bravissima Anna Ferruzzo). Intorno, la natura marina e rocciosa delle Isole Tremiti, luogo estraneo al mondo: chiuso, finito, eppure infinito e trepidante.
 
Delicato, essenziale, il film di Chiantini è un gioiello, raro di questi tempi, specie nei giovani autori. Non ha paura del pudore dei sentimenti, il Chiantini, supportato da attori convinti, come Colangeli, che qui risalta in una delle sue migliori interpretazioni. Poesia di un’umanità piccola, ma vera, che sa di cinema d’altri tempi, dove bastava uno sguardo, una mossa per dire molte cose della vita. Alieno da ogni retorica e chiacchiera inutile – troppi film di giovani autori sono logorroici – l’opera vive di una vita intima e luminosa. Da non perdere.
 
Il richiamo Poteva essere un’opera sensibile, sulla solitudine affettiva e la ricerca di una vera amicizia. Ma ormai la moda impone l’amore lesbico e così le pur bravissime Sandra Ceccarelli e Francesca Inaudi hanno affrontato nel film di Stefano Pasetto questo aspetto, che fa certo parte della vita ma, da come lo si presenta, sembra che non possa sussistere un’amicizia tra donne senza finire nel sesso. Sa tanto di manifesto ideologico o se si vuole di cliché. Peccato, perché appesantisce il film con una storia, purtroppo, già vista. Ci aspettavamo un pizzico di originalità, maggiori sfumature psicologiche e quella capacità di “togliere” il troppo che il cinema talora pare abbia dimenticato.
 
Tutti i nostri desideri Si può parlare di dolore senza essere lacrimosi e stucchevoli? Philippe Lioret, autore dello splendido Welcome, raggiunge lo scopo. Con una sincerità disarmante, un pudore dei sentimenti e una verità sulle persone e le cose che fa del suo nuovo film un’opera sulla vita e l’amore di struggente, umana bellezza. In Francia, vicino a Lione, Claire (Marie Gillain che coniuga “col corpo” dolcezza e forza) è una giovane giudice decisa ad aiutare una giovane donna, ricattata dalle banche. Claire, che ha un’infanzia dolorosa alle spalle ed ora vive in una famiglia felice di due bimbi con un marito che l’ama, comprende e si butta nel gioco, convincendo il riottoso e burbero collega Stéphane (Vincent Lindon) a darle una mano. Ma, quando la vittoria si avvicina, tra le inevitabili sospensioni, ecco che il male aggredisce Claire, che tuttavia combatte la sua battaglia, indomita, sino alla fine, decidendo di sottrarsi all’accanimento terapeutico.
 
Questo non è un film, ma un mondo. Tanta è la complessa varietà sentimentale, l’intreccio affettivo, il dramma vissuto con determinazione e pudore insieme. Lioret non è mai eccessivo e dà l’esempio di un cinema che sa “togliere”, riuscendo così altamente efficace nel presentare situazioni e caratteri. Si parla di dolore e di morte, di famiglia e di amore senza una sbavatura, di libertà e di coscienza. Delicatissimo, sobrio e interpretato alla grande, è un film assolutamente da non perdere. Uno dei miglior dell’annata.

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