Tutti fermi in Sicilia
Da una settimana l'isola è paralizzata: blocco delle arterie stradali e manifestazioni. Difficile individuare le ragioni unitarie della protesta, ma l'esasperazione cresce. Da Catania
Da lunedì in Sicilia siamo fermi. Fermi nel senso che gli autotrasportatori non possono trasportare le merci con i loro tir e portare nei supermercati i prodotti per rifornire gli scaffali vuoti, non possono portare il raccolto dei campi e degli alberi nelle altre regioni d’Italia e d’Europa perché non possono attraversare l’isola e scavalcarne da nessuna parte i confini.
Numerosi sono i blocchi su strade e autostrade che rallentano anche il passaggio delle automobili private. Quelli che viaggiano con macchine aziendali per motivi di lavoro sono costretti ad interrompere il loro viaggio, mentre chi è in giro per altre ragioni può passare. Gli autisti dei pullman di linea vengono caldamente invitati a scioperare, visto che non possono arbitrariamente interrompere il pubblico servizio del trasporto dei passeggeri solo perché qualcuno grida: «Tutti fermi per quattro giorni!». E se davvero scioperassero, l’isola sarebbe alla paralisi perché al trasporto su gomma non esistono alternative dati i lunghi tempi di percorrenza dei treni regionali che rendono inutile qualsiasi prospettiva di spostamento.
Cosa succede? Difficile dirlo. Non vi sono comunicati stampa unitari dei soggetti promotori dell’iniziativa, molto diversi nelle origini e negli intenti: l’AIAS (Associazione imprese autotrasportatori siciliani), il Movimento dei Forconi, il gruppo Forza d’Urto ed altri. Un effetto del blocco dei tir è chiaro: aumentano le contrapposizioni e i conflitti in una Regione che invece vorrebbe rimettersi in moto insieme a tutto il Paese.
Numerosi sono i blocchi su strade e autostrade che rallentano anche il passaggio delle automobili private. Quelli che viaggiano con macchine aziendali per motivi di lavoro sono costretti ad interrompere il loro viaggio, mentre chi è in giro per altre ragioni può passare. Gli autisti dei pullman di linea vengono caldamente invitati a scioperare, visto che non possono arbitrariamente interrompere il pubblico servizio del trasporto dei passeggeri solo perché qualcuno grida: «Tutti fermi per quattro giorni!». E se davvero scioperassero, l’isola sarebbe alla paralisi perché al trasporto su gomma non esistono alternative dati i lunghi tempi di percorrenza dei treni regionali che rendono inutile qualsiasi prospettiva di spostamento.
Cosa succede? Difficile dirlo. Non vi sono comunicati stampa unitari dei soggetti promotori dell’iniziativa, molto diversi nelle origini e negli intenti: l’AIAS (Associazione imprese autotrasportatori siciliani), il Movimento dei Forconi, il gruppo Forza d’Urto ed altri. Un effetto del blocco dei tir è chiaro: aumentano le contrapposizioni e i conflitti in una Regione che invece vorrebbe rimettersi in moto insieme a tutto il Paese.
Certo il caro carburanti incide notevolmente sull’economia isolana. Un esempio per tutti il mercato del pesce. Un peschereccio lampedusano spende quasi mille euro di gasolio per raggiungere il largo e poter pescare e poi ci sono i costi per il mantenimento, sempre a gasolio, delle celle di conservazione. Ma i guadagni? Un rivenditore deve raggiungere il mercato ittico e poi arrivare al suo negozio, limitando il carico perché tanto sa che i clienti sono diminuiti e non spenderanno certo cifre in prelibatezze. La pescheria di Salvatore fotografa la crisi: lo scorso anno il suo bancone era pienissimo di ogni specie ittica, oggi solo alici, merluzzi, qualche gambero e pesce di frittura, mentre in un’intera mattina appena quattro clienti hanno varcato la porta del suo esercizio.
Sui temi economici la mobilitazione era stata più di categoria che unitaria, ma ora il blocco totale sembra aver catalizzato anche problemi atavici: le famose accise sulla benzina in un territorio che raffina petrolio, i prezzi della produzione agricola – miserrimi a confronto di quelli di vendita-, gli esercizi commerciali in bilico tra evasione e pizzo per poter sopravvivere. Mentre il territorio devastato periodicamente da calamità naturali non riesce a vedere risanamento.
Le città più grandi sono semideserte: traffico stranamente scorrevole e poca gente in giro. Nei centri minori la situazione è invece davvero critica: negozi chiusi, supermercati vuoti, il timore diffuso di non potere fare la spesa e quindi, la corsa all’accumulo di beni non deteriorabili. Mentre nei magazzini perdono di freschezza carciofi, insalate, ortaggi e frutta che non potranno più essere messi sul mercato e sono destinati al macero, con danni ingenti per i produttori. Una volta è la grandine, una volta il troppo sole, una volta la cenere dell’Etna, fatto sta che l’agricoltura siciliana stenta a prendere il decollo.
Trasportatori contro produttori, commercianti contro trasportatori, cittadini contro governanti, giovani contro tutti i politici: insomma, un bel caos. Nei momenti più caldi della protesta un uomo è stato ferito con un coltello, mentre alcune gomme dei tir sono state tagliate per impedire la forzatura del blocco.
Su facebook i più giovani dal nord al sud della Sicilia rimbalzano la notizia. Serena scrive: «Non potete nemmeno immaginare cosa significhi rimanere bloccati in macchina ed essere felici! Per la prima volta nella mia vita sono orgogliosa dei miei concittadini! A Gela non si sono verificati disordini. La vita in città scorre normalmente, l’unica differenza sta nell’aver preso coscienza che insieme è possibile dare una svolta al paese». Cristian dalla provincia di Messina commenta con un «Evviva!», l’aver esaurito il pieno della sua macchina, mentre Barbara da Catania confessa: «E’ tanto difficile per me avere ancora fiducia in quei gruppi di militanza politica giovanile e adulta di cui faccio parte perché non stanno facendo altro che snobbare solo perché non è gente altolocata a protestare nelle piazze. Sto dalla parte della povera gente, che non ha più strumenti per difendersi e far sentire la propria voce straziata». Gas non condivide i motivi delle manifestazioni, ma aggiunge: «Mi auguro un effetto domino di questa protesta, non solo sulle strade e nelle piazze, ma anche nelle nostre coscienze».
In queste ore il Presidente della regione Lombardo con tutti i Prefetti ha incontrato i leader dell’iniziativa alla ricerca di una soluzione. «Non sarà facile – ha dichiarato Giuseppe Richici, presidente dell’AIAS, che ha dato il via allo stop dei tir – perché i problemi risiedono a Roma e a Bruxelles».
Certo non è possibile liquidare la protesta puntando solo alle infiltrazioni mafiose: la stanchezza, i timori del futuro, la fatica prolungata del fine mese l’essersi risvegliati dal torpore del «tutto bene» che tale non è, sono motivi sottesi alla protesta. Ma la domanda della gente è molto chiara. Visto che a rimetterci siamo sempre noi, i siciliani, non potevamo evitare le difficoltà e i danni di questi giorni e metterci prima intorno ad un tavolo per parlare e per non arrivare a prendere sotto ricatto decisioni frettolose e urgenti? I giovani invocano un cambio radicale della politica regionale: anzi, dei politici (e non solo regionali). Non possiamo certamente dare torto né agli uni né agli altri!
Le città più grandi sono semideserte: traffico stranamente scorrevole e poca gente in giro. Nei centri minori la situazione è invece davvero critica: negozi chiusi, supermercati vuoti, il timore diffuso di non potere fare la spesa e quindi, la corsa all’accumulo di beni non deteriorabili. Mentre nei magazzini perdono di freschezza carciofi, insalate, ortaggi e frutta che non potranno più essere messi sul mercato e sono destinati al macero, con danni ingenti per i produttori. Una volta è la grandine, una volta il troppo sole, una volta la cenere dell’Etna, fatto sta che l’agricoltura siciliana stenta a prendere il decollo.
Trasportatori contro produttori, commercianti contro trasportatori, cittadini contro governanti, giovani contro tutti i politici: insomma, un bel caos. Nei momenti più caldi della protesta un uomo è stato ferito con un coltello, mentre alcune gomme dei tir sono state tagliate per impedire la forzatura del blocco.
Su facebook i più giovani dal nord al sud della Sicilia rimbalzano la notizia. Serena scrive: «Non potete nemmeno immaginare cosa significhi rimanere bloccati in macchina ed essere felici! Per la prima volta nella mia vita sono orgogliosa dei miei concittadini! A Gela non si sono verificati disordini. La vita in città scorre normalmente, l’unica differenza sta nell’aver preso coscienza che insieme è possibile dare una svolta al paese». Cristian dalla provincia di Messina commenta con un «Evviva!», l’aver esaurito il pieno della sua macchina, mentre Barbara da Catania confessa: «E’ tanto difficile per me avere ancora fiducia in quei gruppi di militanza politica giovanile e adulta di cui faccio parte perché non stanno facendo altro che snobbare solo perché non è gente altolocata a protestare nelle piazze. Sto dalla parte della povera gente, che non ha più strumenti per difendersi e far sentire la propria voce straziata». Gas non condivide i motivi delle manifestazioni, ma aggiunge: «Mi auguro un effetto domino di questa protesta, non solo sulle strade e nelle piazze, ma anche nelle nostre coscienze».
In queste ore il Presidente della regione Lombardo con tutti i Prefetti ha incontrato i leader dell’iniziativa alla ricerca di una soluzione. «Non sarà facile – ha dichiarato Giuseppe Richici, presidente dell’AIAS, che ha dato il via allo stop dei tir – perché i problemi risiedono a Roma e a Bruxelles».
Certo non è possibile liquidare la protesta puntando solo alle infiltrazioni mafiose: la stanchezza, i timori del futuro, la fatica prolungata del fine mese l’essersi risvegliati dal torpore del «tutto bene» che tale non è, sono motivi sottesi alla protesta. Ma la domanda della gente è molto chiara. Visto che a rimetterci siamo sempre noi, i siciliani, non potevamo evitare le difficoltà e i danni di questi giorni e metterci prima intorno ad un tavolo per parlare e per non arrivare a prendere sotto ricatto decisioni frettolose e urgenti? I giovani invocano un cambio radicale della politica regionale: anzi, dei politici (e non solo regionali). Non possiamo certamente dare torto né agli uni né agli altri!