Tutti contro tutti
Ascoltando la radio su un’autostrada italiana bollente, ho sentito un po’ distrattamente una notizia proveniente dallo Yemen, dove come si sa imperversa dal 2015 una guerra sanguinosissima che ha fatto decine di migliaia di morti, centinaia di migliaia di feriti e milioni di profughi. Per riassumere, il 19 marzo 2015 i ribelli houthi, dei “quasi” sciiti, hanno lanciato un’offensiva per estendere il loro controllo sulle province meridionali. Gli Houthi controllano anche la capitale Sana’a, alleati con le forze dell’ex presidente Saleh, con il sostegno di Iran e, si dice, anche gli Hezbollah libanesi. e sostenuti dall’Iran e dalle milizie di Hezbollah. Gli oppositori sono le forze fedeli al presidente yemenita attuale, Rabbo Mansour Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale. L’Arabia Saudita, una settimana dopo lo scoppio delle ostilità, era intervenuta nel conflitto per sostenere Hadi, a capo di una coalizione formata anche da Emirati Arabi Uniti, Marocco, Egitto, Sudan, Giordania, Kuwait, Bahrain e Qatar, con l’appoggio esterno degli Stati Uniti.
Ed ecco la notizia che mi ha sorpreso, e che ho dovuto poi controllare su altre fonti: dal 7 agosto, in effetti, il porto di Aden, capitale provvisoria dello Yemen, nel sud del Paese, ha aggiunto un altro conflitto yemenita, questa volta tra le guardie presidenziali e i separatisti del sud. Ora queste forze separatiste locali sono sostenute dagli Emirati Arabi Uniti, alleati dei sauditi. Quindi in questo momento Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti si trovano ad Aden su fronti opposti. È successo in effetti che i separatisti e le forze del governo, pur dicendosi uniti di fronte ai gruppi di ribelli sciiti houthi, non concordano sulle politiche riguardanti il futuro del Paese. Da qui il nuovo conflitto.
Ovviamente la coalizione araba ha serrato le fila, e la notizia non è stata divulgata più di tanto. Ma il fatto è successo, ed è sintomo di una perdurante incertezza nelle coalizioni internazionali. Prendiamo la Siria, quadrante dove si sta svolgendo una guerra mondiale in miniatura. La Russia è alleata di Assad, ma nel contempo non disdegna di trovare accordi con Israele e gli Stati Uniti per limitare il potere di Teheran. Ma lo stesso Putin è alleato, nel Gruppo di Soci, dello stesso Iran, oltre che della Turchia, la quale fa parte ancora della Nato ed è dalla parte degli Stati Uniti nel conflitto ancora perdurante nella zona curda in territorio siriano. E si potrebbe continuare. La frammentazione dei conflitti – potremmo anche parlare dei Grandi Laghi, o del Myanmar, o del Venezuela… – è una realtà. Non c’è più il bipolarismo Usa-Urss, e ciò è un bene; Trump insiste per sganciare gli Stati Uniti da tanti Paesi dove ha una presenza costosissima, e anche ciò è un bene; l’Europa non ha una politica estera univoca, cosicché, come ad esempio in Libia, sostiene fronti opposti tra di loro, il che non è un bene per nulla. La difficoltà dell’Onu di riprendere il ruolo di regolatore dei conflitti internazionali è evidente. Come è evidente che si debba giungere a una qual che riforma delle istituzioni internazionali.
Ma c’è di più: la rivoluzione digitale sta creando nel mondo intero (si pensi che il gruppo Facebook può influenzare più di 2 miliardi e mezzo di esseri umani) una frammentazione combattiva, nel senso che i social facilitano l’aggregazione di gruppi che la pensano apparentemente allo stesso modo, accentuando i fossati che separano tali gruppi. Gli algoritmi dei social sono la causa prima di tutto ciò, sapendo che l’intenzione dei fondatori di Internet era di gettare ponti tra i gruppi, non di erigere muri. Ma tali gruppi non hanno una comunità d’intenti reale, stanno assieme soprattutto “contro” qualcosa, non “per” un bene comune. E allora anche il singolo cittadino sui social si ritrova a far parte contemporaneamente di gruppi di interesse diversi, in conflitto tra di loro, senza nemmeno rendersene conto. Il risultato è una grande Babele planetaria, in cui in fondo tutti sono contro tutti. E solo per sé. E così non c’è da stupirsi nemmeno un po’ di quello che sta succedendo anche nell’attuale crisi politica italiana.