Tutti contro le slot machine. Perché?
L'immagine è molto chiara ed il messaggio è esplicito: un martello che colpisce una slot machine. La copertina di dicembre 2012 del mensile Vita, espressione del gruppo editoriale punto di riferimento autorevole del terzo settore e non solo, documentava il frutto della campagna “no slot” lanciata con la “Casa del giovane” di Pavia, che ha fatto nascere circoli “noslot” in tutta Italia. Una fitta rete di persone capaci di passare dallo studio all’impegno diretto sul territorio. Il prossimo 4 settembre saranno ricevuti dal papa che, in risposta a una lettera inviata dalla redazione di Vita, si è così pronunciato lo scorso 17 giugno: «Oggi la nostra società è travolta da mille mali e il gioco d’azzardo legalizzato e di massa, pubblicizzato ovunque e senza limitazioni, è forse il più subdolo tra questi proprio perché, in nome di un facile guadagno che mai verrà, illude e ruba la speranza».
Per itinerario culturale ed esperienziale, quelli di Vita, tra i promotori – con Città Nuova e Avvenire – del ciclo di eventi Slot Mob (che invita no a preferire quei bar e quei locali in cui non ci sono slot machine), sono alieni da ogni deriva moralista. Non si tratta di imporre ad altri pesi che non si è capaci di sopportare da soli. La posta in gioco è molto più alta. Ne parliamo con il direttore di Vita, Riccardo Bonacina, cominciando con una domanda volutamente provocatoria.
Non esiste un’impostazione proibizionista e farisea nel pretendere una legge restrittiva sul gioco d’azzardo? Visto che esiste ed è così diffuso, non è meglio che sia autorizzato e sottoposto a controllo ricavandone dei soldi dalle tasse?
«È forse utile ricordare che l'articolo 718 del codice penale italiano punisce con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda non inferiore ad euro 206 chiunque tenga un gioco d'azzardo, ovvero lo agevoli, fuori dei casi di casinò autorizzati e delle navi da crociera naviganti fuori dal bacino del Mediterraneo. L'articolo 720 punisce chi, senza concorrere nel reato ex articolo 718, è colto a partecipare ad un gioco d'azzardo. La pena è l'arresto fino a sei mesi o, in alternativa, l'ammenda fino ad euro 516. Se io e lei giocassimo a un gioco antico e a soldi in un bar, diciamo a morra, saremmo penalmente perseguibili. Ricordo questo dato perché sia a tutti evidente che il fariseismo sta tutto nel campo di chi dal 1997 in poi, in un crescendo senza argini, ha inventato il “gioco d’azzardo legale”. Quest’invenzione linguistica si fondò proprio sulla promessa che il gioco d’azzardo, che era del tutto clandestino, sarebbe così emerso concorrendo anche a sostenere le entrate erariali dello Stato».
E, invece, cosa è accaduto davvero?
«La cronaca si è incaricata di dimostrare che la gran parte di quella promessa non si è avverata. I clan mafiosi continuano a mettere le mani sul gioco d’azzardo che oggi chiamiamo legale, l’usura cresce accanto a slot e Vtl, ect. Quanto poi parliamo di questo problema dobbiamo ricordarci che il problema va oltre il gioco e il denaro sprecato. Parliamo di quella dignità e di quella speranza di cui ogni turpe lucrum (così lo chiamavano un tempo) si nutre, pervertendole. Prima del denaro, della malattia o della dipendenza è di questa dignità e di questa speranza, della loro “cura” che dovremmo farci carico, ed è esattamente questo che papa Francesco ha colto, a noi pare. Dunque del rapporto che noi, donne e uomini non giocatori intratteniamo con la città in cui abitiamo e gli spazi in cui viviamo. Spazi in cui ci riconosciamo sempre meno e sempre meno usiamo per quello che sono: luoghi di incontro e di confronto, non di usura e rovina. Per questa ragione, quella dell’azzardo legale e di massa è una delle grandi questioni dei nostri giorni. È la forma ipermoderna, strisciante perché legalizzata, del narcotraffico. Crea dipendenza, ma assoggetta al suo degrado anche chi non è dipendente. Muove flussi ingenti di denaro e corrompe le ultime speranze di una vita vera, degna di essere vissuta; è una piaga, nessuno può credersene immune. Ma è anche l’occasione concreta da cui ripartire».
Si può colpire la diffusione dell’azzardo senza agire sulle cause remote, e cioè sull’impoverimento generale che colpisce le fasce deboli che non sanno come trovare i soldi per andare avanti?
«È in gioco una grande questione culturale, direi una grande battaglia culturale tutta da giocare. L’azzardo è un idolo, scriveva Baudelaire. Proprio quando crediamo di dominarlo – anche noi, qui, che scriviamo o leggiamo – ci rivela il suo vero volto: il gioco, non il giocatore, è il vero padrone del gioco. Non c’è libertà in questo azzardo. Ecco cosa scriveva Baudelaire, con parole che oggi vorremmo dedicare non certo alle vittime, ma ai tanti commentatori che a forza di elogiare questa non-libertà ne sono diventati schiavi: “Pensavate davvero di potervi burlare, / ipocriti confusi, del padrone, /e di barare al gioco – e che fosse normale /aver due premi insieme, il Cielo e la ricchezza?”.
Non vi piace Baudelaire? Roba da intellettuali? Beh, ecco come si esprimeva il vescovo di Rimini il 30 maggio scorso. Parole durissime, ma necessarie: “il gioco d’azzardo – fenomeno devastante – è violenza perché crea dipendenza e schiavitù. Lotto, superenalotto, lotterie, gratta e vinci, slot machines: un fenomeno globalmente in crescita preoccupante in tutto il territorio nazionale e anche nel riminese, con una rete fittissima di punti di gioco, e volumi di denaro impressionanti. Vengono così illusi spesso proprio i più poveri con la promessa di una facile fortuna, promuovendo la cultura fallace di un guadagno facile, conseguito senza lavoro e senza fatica”».
Come si esce da questa contraddizione?
«L’azzardo è un problema che non richiede innanzitutto una cura e non si risolve con la sua sanitarizzazione, ma richiede una messa in campo di forze che sappiano, e vogliano, stravolgere il sistema a livello culturale. Perché l’uomo non può essere schiacciato da queste logiche di potere che sottilmente riescono ad entrare e stravolgere l’intera scala di valori, senza che la stessa società se ne renda conto, colpendo l’intero sistema economico del Paese, alterando le logiche del mercato e impoverendo un sistema già colpito dalla crisi. Questo è il frutto di una cultura malata, che affida il successo alla sorte, al caso, alla spasmodica voglia di arricchimento.
Una battaglia culturale contro una concezione della vita come azzardo, e una battaglia contro l’impoverimento del nostro Paese: è intollerabile pensare che circa il 4 per cento del Pil vada letteralmente in fumo nel gioco e che una media di 1.200 euro della quota consumi degli italiani finisca nelle slot e nelle scommesse».
Dopo anni di analisi e di impegno diretto si possono individuare, oltre al generico riferimento alle lobby, i portatori di interessi che, legittimamente, sono favorevoli alla diffusione del gioco d’azzardo?
«L’industria del gioco d’azzardo nel nostro paese è imponente, si tratta di una filiera di 5.800 imprese del settore dei giochi autorizzati dallo Stato e che dà lavoro a 120 mila persone. L’Italia è davvero un Paese laboratorio sia per le normative che per l’elaborazione dei software. Come lei sa la posizione di Vita non è per nulla proibizionista: chiediamo che finisca il Far west sulla pelle degli italiani, chiediamo poche regole e qualche argine. In questo senso la proposta di legge per la regolamentazione dell’azzardo depositata il 25 marzo scorso e sottoscritta da quasi 150 parlamentari è da incoraggiare. Così come è importante sottolineare che in poco più di un anno siano state varate tre leggi Regionali, in Liguria, in Emilia Romagna e in Lazio. In Lombardia la legge dovrebbe essere varata a settembre. Insomma si è fatto molto e molto si può ancora fare. Mi ha molto colpito che il presidente di Sistema gioco Italia, Massimo Passamonti, abbia recentemente detto «L’offerta in Italia è molto ampia, forse troppo, e quindi la prima richiesta è di consolidare il mercato e non avviare ulteriori forme di gioco. Consolidare significa anche riconsiderare e rivedere nel suo complesso l'offerta di gioco esistente e portare dei correttivi per renderla maggiormente idonea in considerazione della mutata sensibilità sociale». Un anno fa, lo stesso Passamonti, in un dibattito radiofonico con me diceva che eravamo pazzi a chiedere regole».
Che senso e incidenza può avere un’iniziativa apparentemente innocua e “semplice” come Slot Mob nata nel solco dell’economia civile che promuove i beni relazionali?
«L’azzardo, le slot, bruciano le relazioni, i meccanismi, il buio, le luci, la meccanica, tutto è costruito per isolare l’individuo. Il gioco d’azzardo è fenomeno che si consuma nella solitudine e che brucia e corrompe le relazioni sociali e interpersonali. Perciò promuovere le relazioni come primo bene è tassello fondamentale di ogni prevenzione».