Tutti al mare, anche nei film!
Gli italiani e la spiaggia: una lunga storia d’amore. Cucita anno per anno dal nostro cinema, stagione per stagione, canzone per canzone, bagno dopo bagno, falò dopo falò. Un amore fino a un certo punto appannaggio di pochi facoltosi, come racconta Morte a Venezia di Luchino Visconti, tratto dal romanzo omonimo di Thomas Mann: siamo nel 1911 e i malinconici lidi veneziani sono attraversati da sparuti bagnanti di elevata estrazione sociale.
Sarà così, più o meno, fino all’inizio degli anni Cinquanta, come testimoniano film tanto leggeri quanto straordinari come L’imperatore di Capri di Luigi Comencini, del 1949, e Totò a colori di Steno, del 1952: entrambi animati dal solito monumentale Totò, entrambi ambientati nello splendore di Capri, raccontano il mare italiano vissuto da snob e buffi ricchi, da altolocate figure dalle abitudini bizzarre, che parlano con la V usata al posto della R. Nel primo film, Totò è un cameriere d’albergo scambiato per il ricchissimo Bey Khan di Agapur, con tutti gli agiati bagnanti che cercano di entrare nelle sue grazie. Nel secondo, solo in parte ambientato nella soave isola che guarda la costiera sorrentina, Totò si imbatte in intellettuali e artisti benestanti, annoiati e strambi.
Ma le cose stanno per cambiare: se già Capri, nel 1952, in Ragazze da Marito di Eduardo De Filippo, viene raggiunta da tre fanciulle figlie di un impiegato ministeriale (non senza sacrifici economici da parte del padre), ecco che paradigmi di realistica italianità iniziano a invadere lo schermo puntando decisi verso una giornata al mare rumorosa.
Siamo a metà strada tra le macerie della guerra e i sogni facili del boom che sta per arrivare, e due famiglie del popolo, romanissime e coloritissime, marciano verso lo stabilimento gremito della domenica rovente. Trattasi di proletariato mutante in minuta borghesia, voglioso di caldo, di sole e soprattutto di piccole soddisfazioni. Sono gli abitanti di Domenica d’Agosto di Luciano Emmer, del 1950, e di La famiglia Passaguai di Aldo Fabrizi, del 1951; chen partecipano all’assalto della spiaggia col bus strapieno e le fettine panate, col caldo, col cocomero e la cabina per cambiarsi. Tutto il giorno in mezzo agli altri centomila del “tutti al mare” la domenica, per rincasare stanchi morti la sera, più che altro per sentirsi parte del dolce benessere collettivo nascente. Soddisfatti per essersi gustati un primo assaggio di ciò che diventerà col tempo il miracolo economico italiano.
Quel bagnasciuga di tutti, con schiamazzi e secchielli, tuffi e tonde e magre pance nude, tintarelle, partitelle, ciambelle e piccole onde, simboleggia un nuovo status sociale: è la nuova società che avanza, che sgomita per un metro quadrato di sole, come mostra chirurgicamente una importante commedia del 1954: La spiaggia di Alberto Lattuada, zuppa acida e bollente di vizi e di pochezze umane alle prime luci del consumismo, coralità di ipocrisia e di perbenismo lungo un’assolata riviera ligure. Film notevole, corposo anticipo di quella commedia all’italiana che saprà fotografare magnificamente, con l’entrata negli anni Sessanta, il luglio e l’agosto della nuova Italia industrializzata.
Il sorpasso di Dino Risi, del 1962, taglia in pieno l’estate italiana, si affaccia sui litorali laziali e toscani che ballano il twist e gustano zuppe di pesce, che accendono i motoscafi parlando di affari e denaro. Civitavecchia, Castiglioncello, fino quasi a Livorno, con un sacco di gente che parte e che arriva, che si tuffa e ordina da bere seduta su una sdraio.
Anche Una vita difficile, altro capolavoro di Risi, altra fotografia preziosa del boom economico italiano – di un solo anno precedente a Il sorpasso – filma l’estate rovente di inizio decennio. Siamo sul bagnasciuga di Viareggio, stracolmo di anime coi piedi nell’acqua, di bimbi che scavano le buche e di giovanotti neri come il carbone. Si respira una confusa euforia, serpeggia il disordine di una finta allegria che si fa vera amarezza nel terzo capitolo della trilogia risiana sulla spiaggia e sul boom economico italiano: L’ombrellone, del 1965, ambientato tutto a Riccione, quando si sentono già i primi morsi della congiuntura e l’atmosfera è quella di una festa appena terminata.
Siamo sulle vette impegnate della commedia italiana, si scava severamente sotto la superficie, non come le tante commediole che hanno iniziato a occupare gli schermi del cinema leggero italiano già a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, numerose al punto da dare forma a un filone vero e proprio: la commedia balneare. Mentre agosto svuotava le città, e la villeggiatura nazionalpopolare iniziava a invadere le meraviglie dello Stivale, i produttori organizzavano filmetti che sponsorizzavano le perle dell’estate.
Ecco pellicole luminose e cartolinesche come Avventura a Capri di Giuseppe Lipartiti, del 1958, o Vacanze a Ischia di Mario Camerini, del 1957, finanziato da Angelo Rizzoli per promuovere i suoi investimenti sull’isola di Ischia. I titoli non si contano, decine di decine, registi come Marino Girolami e Gianni Franciolini ne girarono a manciate, con Alberto Sordi, Valter Chiari, Mario Carotenuto, tanti altri e mille bellezze femminili italiane e straniere. Ombrelloni, bikini, alberghi e girandole di amori e tradimenti per ogni generazione, vicende incrociate mezzo comiche e mezzo romantiche, spesso evanescenti, a parte fantastiche eccezioni.
Tutte insieme, però, capaci oggi di descrivere con assoluta precisione il momento in cui la spiaggia divenne un luogo centrale per l’Italia del dopoguerra. Un punto fermo e immortale del nostro come eravamo; un posto e un momento storico divenuti mitici nel nostro immaginario, la cui relazione è sintetizzata dal nostalgico Sapore di mare, dolce centrifuga di quei tanto favolosi quanto irreali anni Sessanta italiani.