Tutta la Chiesa combatta la pedofilia
Una lettera forte, senza eufemismi, che dice pane al pane chiamando le cose per nome. Papa Francesco non nasconde i casi di pedofilia, dando un volto all’accorato grido, espressamente citato nella lettera, che il cardinal Ratzinger lanciò in mondovisione durante la via Crucis al Colosseo nel 2005: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!».
Il papa non può più tacere. È dovere di tutta la Chiesa «riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili».
Nel corpo della lettera confessa apertamente le colpe commesse: «Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli». Soltanto riconoscendo gli errori, i delitti e le ferite del passato si può sperare di aprirsi e impegnarsi di più «in un cammino di rinnovata conversione».
Fin qui niente di nuovo. È ormai da tempo che papa Francesco si batte per la verità e per i cambiamenti di metodi, anche se questa volta lo fa in maniera tanto aperta e organica. Nuovo è forse il coinvolgimento ecclesiale nel prendere coscienza del fenomeno e delle soluzioni da affrontare per debellarlo. La pedofilia non è un problema che riguarda esclusivamente chi la pratica o chi ne è vittima; esso riguarda tutti perché «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Cor 12,26). La frase dell’apostolo Paolo scandisce il documento e ne diventa la chiave di lettura.
Papa Francesco non punta il dito accusatore verso nessuno. Invita piuttosto ognuno a «farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria». Invoca solidarietà verso le vittime, che si esprime nel «denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona» e nel lottare contro ogni tipo di corruzione. Nessuno può nascondersi dietro le parole di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). «È necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno». Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore.
Il papa immagina «una conversione dell’agire ecclesiale» nel quale siano coinvolte tutte le componenti del Popolo di Dio. Denuncia quindi la riduzione del popolo di Dio a piccole élites, la costruzione di «programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita».
È il clericalismo sempre in agguato, una stortura che non riguarda soltanto i “chierici”, ma gli stessi laici, che delegano le cose di Dio agli “addetto ai lavori”, senza sentirsi coinvolti in prima persona: soltanto la «consapevolezza di sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace di lasciarsi rinnovare da dentro».
Questa lettera è degna di stare accanto al documento sulla Sinodalità pubblicato il 2 marzo di quest’anno dalla Commissione teologica internazionale, che si concludeva proprio con una citazione di papa Francesco: «Camminare insieme è la via costitutiva della Chiesa; la cifra che ci permette di interpretare la realtà con gli occhi e il cuore di Dio; la condizione per seguire il Signore Gesù ed essere servi della vita in questo tempo ferito».
In una visione “clericale” la Sinodalità farebbe pensare ai vescovi, che devono “camminare insieme”. Papa Francesco sfata definitivamente questa percezione riduttiva della Chiesa e coinvolge ogni suo membro in maniera responsabile e attiva.