Tutelare la salute delle donne
Non accolta la richiesta della com-missione Sanità del Senato di assicurare il ricovero in ospedale anche a chi vuole abortire con la Ru486.
Una donna da sola a gestire in casa un aborto procurato. È quanto può succedere in un qualsiasi Paese d’Europa dove viene commercializzata la pillola abortiva e che potrebbe accadere anche in Italia.
Riavvolgiamo il nastro al 30 luglio scorso quando l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, aveva dato il via libera alla commercializzazione della Ru486, la pillola che sostituisce l’aborto chirurgico con una procedura chimica, l’assunzione di una pillola, appunto. In realtà già l’Aifa aveva previsto l’obbligo di somministrare il farmaco in ospedale, però si parlava in maniera generica di ricovero senza specificare se si trattasse di un day hospital o altro tipo di trattamento. Stando così le cose, la donna che avesse optato per la Ru486 avrebbe potuto assumerla in ospedale e poi tornare a casa in attesa dell’espulsione del feto che può avvenire alcuni giorni dopo con conseguenze a volte gravi (forti emorragie, complicanze di tipo infettivo o allergico) e persino mortali. Il tasso di mortalità rispetto all’aborto praticato presso la struttura sanitaria è infatti dieci volte maggiore. Senza considerare che la Ru486 risulta efficace solo se assunta entro 50 giorni dal concepimento, fatto questo che accorcia i tempi della riflessione intorno alla decisione di abortire.
Di fronte a queste considerazioni e tenendo presente il quadro normativo di riferimento in materia di aborto che attualmente in Italia è rappresentato dalla legge 194, la commissione Sanità del Senato, con l’unanimità dei gruppi parlamentari, ha deciso lo scorso settembre di approfondire l’aspetto legislativo della compatibilità fra la 194 e la Ru486. Ed è giunta al risultato che tale compatibilità è negata dallo stato delle cose. La legge sull’aborto, infatti, prevede che l’interruzione della gravidanza avvenga dentro le strutture sanitarie; invece, nel caso della Ru486, in ospedale si verifica solo l’assunzione della pillola, mentre l’interruzione di gravidanza avviene in seguito.
E se qualcuno ha parlato di un’inaccettabile prepotenza o di un trattamento sanitario obbligatorio, c’è chi ha fatto presente che l’aborto fai da te non è una liberazione per la donna, ma la mette in condizioni di serio pericolo. Vero è che quello chimico può sembrare meno invasivo come metodo, ma non si può parlare di un “aborto dolce”, come qualcuno sostiene, dal momento che si tratta di una procedura lunga, dolorosa e devastante dal punto di vista psicologico, quand’anche andasse tutto bene sotto un profilo fisico.
Non si tratta quindi di voler imporre una modalità piuttosto che un’altra, ma di assicurare alla donna che decide di abortire tutta l’assistenza di cui necessita.
Ma l’Aifa ha rimandato la richiesta al mittente. «Non è di nostra competenza», hanno spiegato. Nessun vincolo di ricovero ordinario, dunque, ma la possibilità di gestire da sé, e magari da sole, una scelta drammatica, senza le opportune informazioni e precauzioni.