Tutelare la sacramentalità
Il Cardinale Gerhard Ludwig Müller è prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Ha un passato di 36 anni di vita pastorale, di cui dieci come vescovo nella diocesi di Regensburg. A livello personale conta 23 tra nipoti e pro-nipoti. Egli ha potuto conoscere personalmente la tensione fra fedeltà alla Parola di Gesù e particolari situazioni pastorali.
Il matrimonio cristiano costituisce un fattore di felicità e un orizzonte di senso per la vita. Oggi manca una vera educazione all’amore cristiano?
«L’amore è la sostanza della fede cristiana, ma nella società di oggi c’è un concetto molto riduttivo di amore. Se ne parla in maniera superficiale e romantica. Siamo nella cultura dell’egocentrismo che è il contrario del senso vero del dono di sé. Nel Vangelo di Giovanni, 3,16 leggiamo: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
«L’amore di Dio si è rivelato attraverso Gesù, che ha donato la sua vita per noi sulla croce. Nessuno ha un amore più grande di questo e, grazie a Lui, noi siamo divenuti gli amici di Dio. Le profondità delle dimensioni dell’amore all’altro hanno come modello e come dono l’autodonazione di Dio che avviene in Gesù Cristo. Se il nostro obiettivo di uomini adulti è amare, prima ancora che essere amati, questo è possibile perché Lui ci ha amati per primo. Come dice spesso Papa Francesco: Gesù ci “primerea”.
«Nella nostra vita personale, come bambini, dobbiamo prima sperimentare l’amore di Dio attraverso l’amore incondizionato dei genitori. Noi pastori soffriamo molto per i giovani che non hanno ancora sperimentato un amore solido. Non si può imparare l’amore attraverso i libri. Bisogna vivere l’essere chiamati, accolti, amati da Dio attraverso l’amore dei genitori, di tutti i membri della famiglia e della comunità cristiana. L’uomo ha bisogno di questo amore. Del resto la testimonianza è stato il primo metodo della missione cristiana, non solo le prediche dei missionari.
«“Guardate come si amano l’un l’altro”, è stato detto dei primi cristiani. Avere il coraggio di amare, non guardare al proprio tornaconto, avere il senso del sacrificio della croce che non è mai senza risurrezione. Infine vorrei fare un’osservazione: oggi spesso non si coglie il profondo legame che esiste fra fede e amore. Alcuni dicono: la fede divide, l’amore unisce. In realtà la fede cristiana aiuta l’amore a maturare come sguardo positivo sull’altro: tu sei dono di Dio per me, perciò non posso prescindere da te. È la fede che ci aiuta a riconoscere questo: senza questo sguardo della fede, l’amore rimane fragile e destinato a finire».
Nel suo libro La speranza della famiglia lei scrive che, a suo parere, «l’obiettivo principale del prossimo Sinodo dovrebbe essere recuperare l’idea sacramentale di matrimonio e famiglia». Che bilancio fa del Sinodo?
«Come prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede non mi associo a quelli che interpretano il Sinodo secondo categorie politiche con schieramenti fra conservatori e progressisti. Questo dualismo è ideologico, mentre noi ci riferiamo alla Parola di Dio, scritta e tramandata dalla Chiesa, e alla presenza viva di Dio in Gesù Cristo, nella forza dello Spirito Santo. Tutto vale e ha un senso per la salvezza degli uomini e non per giochi di potere ed interpretazioni attuate con categorie politiche. Tutto ciò snatura una sguardo sulla vita che nasce dalla fede ed è un modo superficiale di leggere gli eventi.
«Leggere la realtà sulla base di categorie “del conflitto” non appartiene allo sguardo della fede. Noi dobbiamo parlare del Sinodo e non di un “para-Sinodo”. Penso che la più grande sfida sia quella di promuovere e tutelare la sacramentalità del matrimonio come un mezzo di grazia istituito da Gesù Cristo contro la banalizzazione dell’unione coniugale. Oggi tutto si riduce a una variabile incontrollata della sessualità senza responsabilità verso i figli, il futuro, la società.
«Per il buon futuro di tutta l’umanità dobbiamo cooperare con le altre religioni che hanno un concetto di famiglia simile al nostro e una visione sacrale del matrimonio. Poi noi cristiani dobbiamo sottolineare non solo l’indissolubilità, ma anche la sacramentalità del matrimonio, la presenza salvifica di Dio in questa relazione, la quale rappresenta un salto qualitativo. In questo è fondamentale la testimonianza di tanti fedeli laici: deve diventare come una lampada, visibile a tutti, che illumina il mondo e che non può più rimanere nascosta».
(continua)