Tutela per chi denuncia i corrotti
Il “whistleblower” (soffiatore nel fischietto) è il lavoratore che, durante l’attività lavorativa all’interno di un’azienda, rileva una possibile frode, un pericolo o un altro serio rischio che possa danneggiare clienti, colleghi, azionisti, il pubblico o la stessa reputazione dell’impresa, ente pubblico o fondazione; per questo decide di segnalarla.
Il “whistleblowing” è uno strumento legale – già collaudato da qualche anno, anche se con modalità diverse, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna –, per informare tempestivamente su precise tipologie di rischio: pericoli sul luogo di lavoro, frodi all`interno, ai danni o ad opera dell’organizzazione, danni ambientali, false comunicazioni sociali, negligenze mediche, illecite operazioni finanziarie, minacce alla salute, casi di corruzione o concussione e molti altri ancora.
È evidente come i primi in grado di intuire o ravvisare eventuali anomalie all’interno di un`impresa, di un ente pubblico o di un`organizzazione no-profit sono spesso coloro che vi lavorano e che sono in una posizione privilegiata per segnalare queste irregolarità. Tuttavia, indipendentemente dalla gravità o meno del fenomeno riscontrato, molto spesso i dipendenti non danno voce ai propri dubbi soprattutto per paura di ritorsioni (se non addirittura del licenziamento) o per la frustrazione di non vedere un seguito concreto e fattivo alle proprie denunce.
La legge approvata dalla Camera (voti a favore 357, contrari 46 (Fi e Di), astenuti 15) integra la normativa sulla tutela dei lavoratori del settore pubblico che segnalino illeciti e introduce forme di tutela anche per i lavoratori del settore privato. Per chi segnala reati o irregolarità nel lavoro pubblico o privato, a partire da casi di corruzione, è prevista una tutela dell’identità oltre alla garanzia di nessuna ritorsione sul lavoro e tantomeno di atti discriminatori.
In particolare, il provvedimento approvato prevede che il dipendente, pubblico o privato, che segnala all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), o denuncia all’autorità giudiziaria condotte illecite, di cui sia venuto a conoscenza grazie al proprio rapporto di lavoro, non possa essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa che potrebbe avere effetti negativi. Inoltre non hanno nessun valore eventuali atti discriminatori o ritorsivi adottati dal datore di lavoro. L’identità del segnalante non può essere rivelata. Spetterà al datore di lavoro dimostrare che le misure discriminatorie siano motivate da ragioni estranee alla segnalazione da parte del dipendente.
Secondo le associazioni Libera e Gruppo Abele il provvedimento approvato costituisce «un ulteriore passo decisivo per rompere quel muro di accettazione silenziosa del fenomeno corruttivo, ancora troppo spesso considerato sostenibile, specie se ci riguarda da vicino».
«Per invertire questa tendenza – sottolineano Libera e Gruppo Abele –, oltre a buone e nuove leggi occorre la diffusione culturale dell’integrità. Un lavoro etico e culturale che ci vede impegnati come associazioni: se le leggi spettano a chi governa, la responsabilità di mutamenti culturali è in capo alla società responsabile. La corruzione è una tra le più gravi minacce alla democrazia e l’avamposto delle mafie. La lotta alla corruzione è una priorità etica, sociale ed economica: non meno delle mafie, la corruzione è furto di bene comune, furto di diritti e di speranze, di opportunità e di lavoro».