Tutela dei minori davanti alla tv: un fallimento

A venti anni dal varo del Codice di autoregolamentazione e della fascia oraria protetta, le istituzioni sembrano aver gettato la spugna. Cambiamento negli stili di vita (sia dei genitori che dei ragazzi), sviluppo della tecnologia e immobilismo (vergognoso) del Comitato media e minori, lasciano i giovani indifesi. Secondo una ricerca Censis, il 70 per cento dei bambini italiani di 7 anni accende da solo la tv e il 34 per cento di loro gioca ogni giorno online! La curiosità per il porno
ragazzi e tv

«Parlare di televisione significa affrontare un argomento al tempo stesso familiare ma anche difficile perché pone numerosi problemi che coinvolgono la sfera emotiva, le relazioni. (…) La sua capacità di comunicazione la rende un formidabile mezzo di informazione e uno strumento di formazione, di crescita comune (…); eppure la sua serialità, che induce e produce dipendenza, genera preoccupazione nei genitori e negli insegnanti che non sempre sono in grado di proteggere i loro figli/e e allievi/e dai rischi di un appiattimento dello spirito critico, di una omologazione contagiosa, di una accettazione passiva degli stereotipi. Che fare allora? Come intervenire perché sia elevata la qualità di ciò che entra nelle case? Cosa fare per tutelare i soggetti più deboli, i bambini e le bambine, il loro diritto a una crescita, a uno sviluppo armonioso? (…)

«Per salvaguardare i diritti e le esigenze di armonico sviluppo della personalità infantile e adolescenziale, nel 1993 ventuno associazioni di consumatori, genitori e insegnanti e la FRT, un'associazione di 150 tv locali e nazionali, tra cui le tre reti Mediaset e alcuni canali telematici e satellitari, sottoscrissero un “Codice di autoregolamentazione” che istituiva, per la prima volta in Italia, una fascia oraria protetta, dalle ore 16.00 alle 19.00, in cui la programmazione televisiva doveva tenere conto di alcuni accorgimenti e limitazioni. Si è trattato, come è evidente, di una tappa fondamentale, di un vero e proprio salto di qualità…».

Sono le parole con cui il Comitato Media e Minori si presenta al pubblico sul suo sito internet. Una piattaforma ad esser buoni obsoleta, come lontano nel tempo è il contesto evocato: era l’inizio degli anni ’90 quando, in un clima di sincero entusiasmo, il Comitato muoveva i suoi primi coraggiosi passi. Un’era geologica fa se pensiamo alla progressione rapidissima dello sviluppo tecnologico e digitale.

Eppure, a oltre 20 anni di distanza, il capitolo della tutela dei minori dai contenuti nocivi dei media ricalca più o meno la stessa narrativa: stesso allarme, stessi moniti, stessi annunci e promesse (mancate). Stessi progetti o iniziative di legge mai decollati o sabotati in partenza. Basti pensare che il Codice sopra citato dal ‘93 non è mai stato aggiornato, mentre nel frattempo siamo passati dai pochi canali analogici alla miriade di canali digitali, alla tv a pagamento e a quella in internet visibile dagli smartphone, e il Codice stesso è diventato per giunta norma di legge. Un regolamento di scarsa utilità – è evidente – nel fronteggiare i rischi crescenti che vengono dalla tv e dai nuovi media. Perché quelli sono aumentati pericoli, e in misura esponenziale, grazie all’avvento di internet e al cambiamento nelle modalità di fruizione dei media stessi.

In sostanza dopo più di vent’anni le istituzioni non hanno ancora individuato gli strumenti idonei a proteggere i minori dai contenuti nocivi veicolati dalla tv. Anzi il fallimento oggettivo delle più recenti iniziative (fra cui lo strumento-filtro noto come parental control) ha esposto i bambini e gli adolescenti a rischi ancora maggiori, mentre la funzione educativa e di monitoraggio è stata delegata completamente a famiglia e scuola, che in molti casi si sono rivelate prive degli strumenti necessari per assolvere a questo compito.

A rendere più cupo il quadro c’è poi la condizione di impasse, chiamiamola così, che vive da tempo il Comitato Media e Minori: dopo un congelamento durato 2 anni, per un ritardo ingiustificato nel rinnovo dei membri, l’attività è ripresa nel 2013 tra significative difficoltà. Lo scioglimento dell’Associazione Tv e Minori che riuniva le emittenti e sosteneva in parte i costi di esercizio del Comitato, con il licenziamento di buona parte del personale di segreteria, ha sottratto risorse al gruppo e ne ha compromesso l’operatività.

Inoltre, il ritardo nell’aggiornamento del Codice – alla cui revisione partecipano le emittenti ma non i rappresentanti degli utenti –, lascia nelle mani del Comitato solo un’arma spuntata. Anche il nuovo sito, pensato per far conoscere il Comitato ad un pubblico più ampio e favorire le denunce da parte dei telespettatori, è in lavorazione da mesi e ad oggi resta offline.

A fronte di ciò non sorprende che i genitori di oggi siano ancora molto preoccupati circa i rischi che i loro figli corrono quando guardano la tv e navigano in rete. È il dato che emerge con maggiore evidenza dalla ricerca realizzata dal Censis per conto del Corecom della Regione Lazio, e presentata due giorni fa a Roma. Condotta su un campione di genitori residenti nel Lazio, con figli fino a 13 anni, l’indagine, dal titolo Media consapevoli, genitori responsabili, tutela dei minori, ha inteso verificare la reale efficacia delle politiche di tutela dei minori rispetto ai contenuti nocivi veicolati dai media.

In sintesi, il quadro che emerge dallo studio mostra evidenti contraddizioni: se da un lato cresce la fruizione di tv e nuovi media, con età di inizio sempre più precoce e modalità di utilizzo che uniscono all’uso nel tempo libero anche quello fatto a scuola, dall’altro gli strumenti di tutela esistenti si rivelano sostanzialmente insufficienti, addirittura meno efficaci degli strumenti tecnologici e normativi precedenti.

E ancora, se per un verso i genitori si dicono molto preoccupati per i rischi che possono correre i figli guardando la tv o navigando in rete, per l’altro gli stessi riconoscono di essere manchevoli o impreparati rispetto alla funzione di accompagnamento dei figli e di educazione all’uso dei media. Molto spesso sono gli stessi genitori a fare un uso smodato di pc, tablet e telefonini, e a lasciare da soli i figli di fronte alla tv o al computer.

Per entrare nel dettaglio basta guardare ai numeri. Oltre il 50 per cento dei bambini di 6-7 anni utilizza un tablet per 1-2 ore al giorno, con punte di 3-4 ore. A 10 anni i ragazzi che usano abitualmente il tablet superano il 60 per cento. Usa lo smartphone per un’ora al giorno il 22% dei bambini di 7 anni e un altro 23% lo fa per 2-4 ore. A 10 anni le percentuali sono ancora più alte. Ancora a 7 anni solo il 24% dei bambini usa internet a fini scolastici, mentre il dato cresce al 64% tra i bambini di 10 anni.

L’utilizzo crescente dei nuovi dispositivi non ha tuttavia sottratto tempo alla tv che si conferma tra i media più utilizzati dai minori: l'82% dei bambini del Lazio di 7-10 anni la guarda tutti i giorni, e circa la metà lo fa per almeno 2-3- ore. La massima concentrazione di bambini si registra però al di fuori della cosiddetta fascia protetta, dalle 16 alle 19: quasi il 64% dei ragazzi di 10 anni segue principalmente la tv nella fascia oraria che va dalle 19 alle 22.

Inoltre la ricerca mostra che il 70% dei bambini di 7 anni accende da solo la tv, e a 10 anni è oltre l'80% a restare da solo davanti allo schermo. Prende piede tra l’altro anche la tv via internet in streaming: la guarda per 3 ore al giorno il 25% dei minori.

Riguardo ai videogiochi, quelli offline come la playstation sono scelti da una percentuale maggiore di bambini, ma cresce il numero di quelli che giocano online, anche in età precoce: il 34% dei bambini di 7 anni può essere definito un giocatore assiduo, in quanto gioca tutti i giorni online per almeno un'ora, e a 10 anni la percentuale sale al 43%.

Accanto a questi dati – come anticipato – l’indagine del Censis rileva una forte preoccupazione dei genitori, che vedono l’inefficacia degli strumenti di tutela e si scontrano con la difficoltà di monitorare e filtrare i contenuti a cui sono esposti i figli.

Per quanto riguarda la fascia televisiva protetta, il 33% dei genitori considera inutile questo strumento proprio perché i bambini guardano la tv a tutte le ore e in molti ritengono anche che in realtà viene trasmesso di tutto anche in questa area di tutela. Tuttavia il 42,5% di loro pensa che debba essere mantenuta perché svolge una funzione simbolica. Inoltre, l’indagine mostra che meno del 25% dei genitori fa uso del filtro chiamato parental control, sia di quello per la televisione in chiaro sia di quello attivo sulla televisione on demand, pensato per oscurare i contenuti gravemente nocivi. Va registrata anche una percentuale non irrilevante di genitori che si dice non interessato a esercitare questo tipo di controllo: sono il 42% degli intervistati.

Per ciò che riguarda la navigazione in internet, il 20% dei genitori afferma di essersi accorto che i figli provano curiosità per i siti web porno o dedicati al gioco d'azzardo. Un dato preoccupante se si pensa che il 51% dei bambini di 10 anni accede da solo a internet, e che lo fa il 26% dei bambini di 7 anni. Infine, il 76% dei genitori ritiene che sia giusto controllare i figli perché non hanno la maturità per fruire dei contenuti online: temono l'assuefazione, la desensibilizzazione ed eventuali traumi.

Di fronte a questo scenario, ad oggi molto più problematico che in passato, la parola passa, di nuovo, alle istituzioni: l’urgenza di strumenti normativi e tecnologici efficaci non è più rimandabile. In ballo c’è il benessere e lo sviluppo psicofisico dei minori, per i quali i media dovrebbero costituire non un pericolo ma strumenti di crescita, apprendimento e conoscenza.

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