Turismo spaziale e disuguaglianze

Come la tecnologia sta cambiando la nostra società. Il “volo” di Richard Branson.

Avete 250 mila dollari subito disponibili? Allora mettetevi in lista, insieme alle altre 600 persone che si sono prenotate per il prossimo volo nello spazio. Si chiama Turismo spaziale, è la nuova frontiera dell’avventura, per ora solo per i ricchi, sempre assetati di nuovi stimoli.

Sì, perché «volare è meglio del sesso»: lo garantisce il miliardario Richard Branson (71 anni), che con la sua Virgin Galactic è riuscito a battere per pochi giorni la concorrenza dei suoi due amici, sempre miliardari, Jeff Bezos (padrone di Blue Origin oltre che di Amazon) ed Elon Musk (padrone di Space X, oltre che delle auto elettriche Tesla).

Richard Branson (AP Photo/Susan Montoya Bryan)

Richard Branson ha volato per 90 minuti con la sua navicella panoramica, dotata di 12 oblò. Ha superato il limite degli 80 km di distanza dalla Terra, entrando quindi nello “spazio” e godendosi 4 minuti di assenza di gravità, prima di iniziare il rientro e l’atterraggio. Ancora una volta i privati, forti della loro enorme disponibilità economica e capacità decisionale, battono le agenzie spaziali pubbliche nella corsa a quello che è ormai il business del futuro.

I prezzi del turismo spaziale naturalmente caleranno presto grazie alla concorrenza, per cui aumenteranno le persone che potranno permettersi una gitarella “fuori pianeta”. Prima o poi anche questo diventerà un fenomeno di massa. Il “sogno” di Branson diventerà realtà per molti.

Ma il punto su cui riflettere è un altro: quello che impressiona è il livello di competenza tecnologica raggiunto dalle aziende di questi miliardari privati e dalle altre cosiddette Big Tech (Google, Facebook, Microsoft, Amazon ecc.), che continuano a rastrellare, sulla base di stipendi stellari, i migliori ingegneri e progettisti disponibili in giro nel mondo. La ricerca pubblica rischia sempre più di rimanere solo una comprimaria.

Per fare un esempio, negli ultimi anni il magnate Elon Musk ha messo in orbita intorno alla Terra 1700 mini satelliti. Quando la costellazione sarà completata, nell’autunno di quest’anno Musk inaugurerà Starlink, l’Internet ad alta velocità dallo spazio. Una rete di satelliti piccoli e potenti, posizionati in orbita bassa, che permetterà di connettere facilmente, senza infrastrutture terrestri, i cellulari delle zone del pianeta più remote e povere. Anche qui la concorrenza dovrebbe presto abbattere le “disuguaglianze geografiche”, e magari renderà inutile anche il 5G.

Cosa c’è di male in tutto questo? Dovremmo ringraziarli, potrebbe ribattere qualcuno. Vero. Ma come al solito il diavolo si nasconde nei dettagli. Chi controllerà che lo sviluppo sia a beneficio di tutti, visto che non ci sono autorità a livello mondiale in grado di farlo? Chi impedirà di riempire lo spazio di relitti, come abbiamo fatto con la plastica in mare? Chi assicurerà la privacy delle comunicazioni e la trasparenza nella velocità delle stesse?

Prendiamo un altro esempio: l’Intelligenza artificiale. Il tumultuoso sviluppo attuale è portato avanti dai privati, soprattutto BigTech, quasi senza controllo. La tecnologia sta diventando un moltiplicatore di ricchezza, ma purtroppo solo per i pochi che detengono la conoscenza. Gli stessi pochi che sono in grado di influenzare e indirizzare le scelte dei politici secondo i propri interessi.

Ma come avverte Jonathan Safran Froer (intervistato da Maurizio Molinari): «Con l’aumento dell’automazione vedremo ingrandirsi il divario tra chi ha i soldi e le macchine, e chi ha un lavoro che non ha più valore, per cui rimane senza lavoro perché rimpiazzato dalle macchine. E cosa succede se il 95% delle persone rimane tagliato fuori da una ricchezza che è sotto gli occhi di tutti (in tv o in rete)? È un disastro se non troviamo il modo di far sentire le persone incluse, di condividere le ricchezze prodotte dalla società».

 

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