Turchia, 15 milioni per Imamoglu

Domenica 23 marzo sono stati 15 milioni i turchi che hanno partecipato alle primarie del Chp, il partito popolare repubblicano, e 13,2 milioni hanno deposto nell’urna un nome, quello del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, come antagonista di Erdogan alla presidenza della repubblica turca. Intanto Imamoglu veniva incarcerato con accuse “politicamente motivate”
Proteste in Turchia contro l'arresto di Ekrem Imamoglu EPA/ERDEM SAHIN

Il Paese «o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa; gliela daremo con l’amore, se è possibile, o con la forza se sarà necessario».

È una famosa frase storica che ha da poco compiuto 100 anni. Se al soggetto indicato come “il Paese” si sostituisce “l’Italia” si ottiene pari pari quanto affermò Benito Mussolini alla Camera dei deputati il 3 gennaio 1925, 6 mesi dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (10 giugno 1924), ucciso dai fascisti, come lo stesso Mussolini ammise, assumendosi la responsabilità politica, morale e storica della decisione, in quello stesso discorso del 3 gennaio 1925.

Se al soggetto indicato come “il Paese” si sostituisse “la Turchia” la frase continuerebbe a funzionare e si otterrebbe il senso di quanto sta affermando il governo turco, da 22 anni “guidato”, prima come premier e poi come presidente della repubblica, ma con aspirazioni da sultano, dallo stesso uomo: Recep Tayyip Erdogan, l’inventore dell’Akp, il partito della Giustizia e dello Sviluppo.

Il partito conservatore Akp e il suo alleato di destra-destra Mhp (espressione dei Lupi Grigi) hanno tollerato per decenni la presenza di qualche minoranza politica (senza mai rinunciare a tartassarla), ma di fronte all’esponenziale crescita di consenso intorno al sindaco (rieletto) di Istanbul, Ekrem Imamoglu, del Chp (partito popolare repubblicano, di centrosinistra e nazionalista) come candidato alla presidenza della repubblica (elezioni previste nel 2028!), sembrano caduti in una sorta di depressione ansiosa.

Dopo più di 90 indagini amministrative o penali, che non hanno fermato l’avanzata dei consensi per Imamoglu, la reazione si sta ora facendo cocciuta e sempre più violenta.

I fatti di questi giorni sono noti: il preludio del 18 marzo è stato la revoca della laurea di Imamoglu (da lui conseguita 35 anni fa), per mancato rispetto delle regole amministrative nel trasferimento dall’Università di Cipro nord a quella di Istanbul. Il perché diventa chiaro se si tiene conto che in Turchia un requisito base per candidarsi alla presidenza della repubblica è avere una laurea.

Poi, il 19 marzo, Imamoglu ha pubblicato un video dalla cabina armadio di casa sua annunciando di avere la casa piena di poliziotti venuti ad arrestarlo. L’accusa, per farla breve, è quella che si definisce con un eufemismo: politicamente motivata. Imamoglu è accusato di corruzione ed estorsione, di essere a “capo di un’organizzazione criminale a scopo di lucro”, di sostegno al famigerato Pkk curdo. L’accusa di terrorismo, inizialmente avanzata, sembra che non sia stata formalizzata.

Ma la solita stizzita retorica che accusa i sostenitori di Imamoglu di essere una misera frangia di esagitati che cerca solo il caos sta miseramente naufragando nella marea della protesta, ovviamente non autorizzata (e quindi colpevole).

Diverse centinaia di migliaia di cittadini, nonostante minacce e divieti, sono scese in piazza e per strada in 50 delle 81 province del Paese, scatenando la protesta a Istanbul, Ankara, Izmir, Adana, Antalya, Canakkale, Eskisehir, Konya, Edirne, come ammette lo stesso ministro dell’Interno turco. Oltre mille sarebbero i fermati, molti tra loro i giornalisti.

Il Chp, il partito di Imamoglu che conta 1,6 milioni di iscritti, ha invitato i cittadini turchi a recarsi alle primarie presso le sedi del partito di tutto il Paese, per indicare la loro preferenza per il candidato alla presidenza, cioè l’antagonista di Erdogan. Che fra parentesi sta completando il secondo mandato: la Costituzione non gliene concederebbe altri. Ma , si sa, si potrebbe sempre cambiare la Costituzione.

Comunque, a scanso di dubbi, domenica 23 marzo sono stati 15 milioni i turchi che hanno partecipato alle primarie e 13,2 milioni hanno deposto nell’urna un nome: Ekrem Imamoglu. Che intanto è stato sospeso come sindaco e trasferito nel carcere di massima sicurezza di Marmara, nella provincia di Istanbul.

Ma quello che fa impressione è il crollo dell’economia turca scatenato da questo accanimento. Il principale indice della borsa di Istanbul – il Bist 100 – ha perso il 16% del suo valore in pochi giorni.

La lira turca è arrivata in 1 giorno a perdere l’11% del suo valore sul dollaro. Il crollo della moneta è poi stato contenuto al 3%, ma con un intervento pesantissimo sui mercati da parte della Banca Centrale turca: secondo i calcoli degli analisti nel solo giorno di mercoledì 19 marzo la Banca di Stato avrebbe speso 12 miliardi di dollari delle sue riserve per stabilizzare la moneta, e poi proseguire nei giorni successivi con quantità inferiori ma continue di valuta pregiata.

L’operazione di recupero dell’economia turca avviata 2 anni fa dall’abile ministro Mehmet Simsek, che aveva rassicurato gli investitori internazionali portando l’iperinflazione dall’80% di fine 2022 all’attuale 40%, anzi un po’ meno, è stata miseramente bruciata nel volgere di pochi giorni.

Il clima è incandescente. Sono molti che temono per quanto potrebbe succedere nei prossimi giorni. Ma anche a sperare.

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