Turchia senza pace
Abbiamo vissuto una seconda notte di terrore. A partire dalle 23 di ieri sera, i messaggi sul mio telefonino dicevano di un golpe in corso in Turchia. «Ma che sta succedendo a questo mondo?», si chiedeva un collega. Dopo la carneficina di Nizza non ci si aspettava l’accensione di un altro focolaio di tensione alle porte dell’Europa a poche ore di distanza. Dopo una novantina di morti e circa 1600 arresti (dati delle 9 di mattina). E non si credeva che questa parola, golpe, potesse tornare di attualità alle porte dell’Europa.
Non si conoscono ancora i dettagli del golpe, ma è certo che il governo sembra ora avere ripreso in mano la situazione e il presidente Erdoğan parla in tv da vincitore, dopo essere fuggito dal suo palazzo di Ankara e dopo aver passato la notte su un aereo in volo al di sopra dei cieli turchi. Da quel che si è potuto capire, la popolazione ha rifiutato in massima parte il golpe, per una difesa della democrazia prima ancora che di un politico particolare che non è un campione del rispetto dei diritti dell’uomo, come testimoniano i tanti giornalisti in carcere, più che in Cina. Non va dimenticato che, dopo lo scandalo sulla corruzione che aveva investito il governo e la famiglia dello stesso Erdogan nel dicembre del 2013, sono cominciate le restrizioni alla libertà di stampa, l’arresto di ufficiali e di esponenti di forze politiche avverse.
Il presidente ha già nominato il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito ed è cominciata l’epurazione nelle file dei militari. «Pagheranno un prezzo pesante per il loro tradimento verso la Turchia», ha annunciato presidente. Si sapeva che parte del potentissimo esercito non aveva mai accettato l’arrivo al potere di un presidente musulmano e fiero di esserlo. Non pochi colonnelli e generali erano e sono ancora fautori di una laicità del governo sul modello kemalista (cioè sul modello del padre della patria Atatürk), legato a forme di massoneria locali; ma non si pensava che i golpisti sarebbero passati all’azione. In ogni caso pare che i militari golpisti non siano stati così numerosi come si pensava all’inizio dell’operazione: forse una cinquantina di generali e colonnelli.
Le cancellerie internazionali si sono subito messe in moto per manifestare il loro appoggio al presidente Erdogan (ricordiamo che la Turchia è membro della Nato), che pur essendo al potere da 14 anni è stato sempre eletto da elezioni democratiche. In un momento in cui la Turchia sta mutando radicalmente la sua politica estera (dopo varie giravolte sul caso siriano e ventilati appoggi allo stesso califfato), riavvicinandosi all’Europa, a Israele e alla Russia, alcuni osservatori sottolineano come il golpe sia stato forse determinato proprio da queste scelte.
Nel corso della nottata, il presidente Erdoğan ha accusato il “nemico spirituale” Fetullah Gülen, in esilio da decenni negli Stati Uniti, a capo di un vastissimo movimento religioso che conta alcuni milioni di seguaci in Turchia, di aver ispirato il golpe. «L’accusa appare inverosimile, anche perché Fetullah Gülen è di spirito pacifico», commenta Ali Kasacigil, direttore della rivista francese Anatolie.
E ora? Oggi è tempo di incontro, di ragionevolezza, di capacità di mediazione e questo si rivelerà un bene per tutti, anche per lo stesso presidente che non può continuare a inimicarsi militari, opposizione e parte del suo stesso popolo. Che questa volta lo ha salvato.
(con la collaborazione di Maddalena Maltese)