Turchia, quando i profughi sono ospiti
In un periodo come quello che stiamo attraversando, in cui sui media non si parla più della situazione siriana e la parola profughi appare quasi appannaggio esclusivo degli ucraini, colpisce una notizia a margine: quella della decisione annunciata la settimana scorsa dal presidente turco Erdogan di trasferire circa un milione di profughi siriani, presenti in Turchia, nelle case realizzate per loro in zone appena oltre il vecchio confine, in territori siriani da anni occupati o controllati dall’esercito turco.
In particolare, in alcune aree nel nord della ex provincia di Idlib (contigue alle terre in cui si trovano confinati “ribelli” e jihadisti contrari al presidente Bashar al Asad e tuttora oggetto di attacchi siriani e russi) e nei territori strappati con alcune operazioni militari soprattutto ai curdi siriani: ad A’zaz, Jarabulus e Al Bab, non lontano da Aleppo, e più ad est a Tal Abyad (nella regione di Raqqa, l’ex capitale dell’Isis) e a Ras al Ayn (nella zona curda di Al Hasaka). Tutte località siriane appena al di là dell’ormai virtuale confine, dal 2016 controllate dai militari turchi.
I siriani arrivati in Turchia in questi 11 anni di guerra sono stati circa 3,7 milioni e sono sparsi in una decina di province: i numeri più consistenti sono quelli dei circa 500 mila riparati ad Istanbul, 450 mila a Gaziantep, qualche centinaio di migliaia a Sanliurfa e altrettanti nella zona di Hatay (Antiochia), altri 1,5 milioni nelle zone a ridosso del vecchio confine siriano a nord di Afrin. E molti altri sparsi in campi profughi ma soprattutto sistemati in qualche modo in case e villaggi. La maggioranza dei profughi ha meno di 30 anni e, secondo l’Unhcr, non ha accesso a casa, educazione (metà dei bambini rifugiati non frequenta la scuola) e sostegno finanziario. Anche perchè i siriani in Turchia sono considerati profughi-ospiti, ma non sono riconosciuti come rifugiati.
Evidentemente questi poco meno di 4 milioni di siriani in Turchia non sono però tutti i siriani fuggiti dal loro Paese: il numero complessivo si aggira sui 12 milioni, metà della popolazione di prima della guerra. Altri si trovano soprattutto in Libano, Giordania, Iraq, Egitto e in giro per il mondo. E sono più di 6 milioni gli sfollati interni che vivono lontano dalle zone dove abitavano prima della guerra.
Un comunicato Ansa del 3 maggio scorso (che riprende l’Agenzia turca Anadolu) riporta alcune affermazioni del presidente turco che appaiono indicare più di quanto sembrano dire: “Stiamo preparando un nuovo progetto per il ritorno volontario di un milione di fratelli siriani che si trovano nel nostro Paese come ospiti”. E aggiunge: “Circa 500 mila siriani sono tornati nelle aree sicure create dalla Turchia con operazioni oltre confine a partire dal 2016”.
In realtà, il significato delle principali parole chiave del messaggio: “ritorno volontario”, “ospiti” e “aree sicure”, potrebbe essere oggetto di qualche dubbio interpretativo. Ma, senza voler polemizzare, è indispensabile rilevare anche qualcos’altro: negli ultimi anni la frustrazione di una parte non marginale della popolazione turca verso i profughi siriani si è espressa con insofferenza e attacchi, talora violenti, che hanno provocato anche dei morti.
E forse si può capire, in un Paese dove la difficile situazione economica sta provocando un aumento del 60% su base annua dei prezzi alimentari, e dove l’eccesso di offerta di lavoro sottopagato spinge i salari di tanti turchi verso il basso. A parte il discorso dei fondi promessi e/o versati (in parte) dall’Unione europea per tenere chiuse ai “migranti illegali” le frontiere verso l’Europa, il governo turco potrebbe comprensibilmente aspirare ad alleggerire il numero dei profughi riportandoli in Siria, soprattutto se il rientro prospettato avvenisse in aree, sotto controllo militare turco, dalle quali sono stati estromessi (o sono fuggiti spontaneamente) molti curdi, reali o presunti affiliati al Pkk, che le abitavano.
Situazioni che in questo momento si affiancano all’imminenza delle elezioni annunciate, salvo imprevisti, per l’anno prossimo. E che hanno già provocato ripensamenti strutturali dei distretti elettorali.
Insomma, con un’espressione molto partenopea, si potrebbe dire che quelli “cornuti e mazziati” (con il significato di chi subisce il danno e la beffa) sono alla fine i profughi-ospiti.
Ma questo potrebbe essere solo il punto di vista di un incompetente. Nell’eventualità, chiedo scusa.
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