Turchia, Haghia Sophia di nuovo moschea

Grande scalpore ha suscitato la riconversione, decisa da Erdogan, della grande basilica costantinopolitana Haghia Sophia in luogo di culto islamico. Una questione politica
Hagia Sophia, AP Photo/Emrah Gurel

Santa Sofia, a Istanbul, diventa una moschea dal 24 luglio. Di per sé non è una novità senza precedenti, se consideriamo la sua storia: Ayasofya, come la chiamano i turchi, è stata una moschea, un luogo di culto islamico, per 482 anni ininterrottamente, dal 1453 al 1935, quando il fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Atatürk, decise di farne un museo.

Quello che fa sorridere è l’uso “politico” che in questi giorni si vuole fare di uno degli edifici più straordinari che siano giunti miracolosamente fino a noi. Quando la basilica fu consacrata alla Aghìa Sofìa, la Divina Sapienza, il 27 dicembre 537 dall’imperatore Giustiniano (quello dei mosaici di San Vitale a Ravenna, il codificatore del Diritto romano che si studia ancora oggi), non esistevano né Islam né divisione fra cattolici e ortodossi. Il profeta dell’Islam, Muhammad, nascerà poco più di 30 anni dopo, e allo scisma del 1054 che segnerà la separazione tra greci e latini mancava più di mezzo millennio.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (che è nato a Istanbul e ne è stato sindaco) non è uno sprovveduto e conosce la storia e il valore di Ayasofya. Ma vede le cose da politico navigato, che sa quanto sia importante catturare e recuperare il consenso dello zoccolo duro degli elettori. Sembra che ne abbia particolarmente bisogno in questo momento, e fare di nuovo di Ayasofya una moschea può servire allo scopo, tanto più che questa idea ce l’ha da sempre.

Il 31 marzo 2018, più di due anni fa, si era recato nella basilica, e dopo aver recitato la prima sura del Corano, ha ricordato esplicitamente «coloro che hanno contribuito a costruirla ma in modo particolare chi l’ha conquistata», cioè il sultano Mehmet II il conquistatore, che l’ha trasformata in moschea nel 1453. E nel marzo dell’anno scorso, parlando del decreto di Atatürk del 1935 che trasformava Ayasofya in museo, ha detto esplicitamente che è stato «un errore molto grande».

In questi giorni si sono succeduti nel mondo i pronunciamenti più vari contro la decisione turca, che vanno dall’indignazione, alla deprecazione, all’appello accorato. Però, il commento più incisivo è forse una frase detta da papa Francesco domenica 12 luglio, a margine dell’Angelus: «Il mare mi porta un po’ lontano. Il pensiero a Istanbul, penso a Santa Sofia. Sono molto addolorato». Nessun pronunciamento tagliente, una personale confessione di sofferenza. Un’esperienza che non condanna, ma esprime un dolore condiviso da molti in tutto il mondo.

A proposito di utilizzo politicizzato della decisione turca, tra le citazioni più gettonate dai media c’è quella di Soner Capatay, direttore di un think tank con sede a Washington, che afferma: «Come Atatürk, quasi 100 anni fa, per dare un segnale in senso laico allo Stato trasformò Santa Sofia in museo, Erdogan ha deciso di riconvertila in moschea per dare un segno forte alla sua idea di rivoluzione e di Turchia». Interessante, se non altro perché esprime l’idea che nella decisione del presidente turco c’entrano ben poco le fedi religiose. Ma orienta la riflessione solo da una parte, senza considerare altri aspetti. D’altro canto è difficile aspettarsi qualcosa di diverso dal direttore di un’istituzione che ha lo scopo dichiarato di sostenere «gli interessi statunitensi in Medio Oriente e di promuovere le politiche che li assicurano».

Povera Ayasofya! E pensare che perfino il sultano Mehmet II il conquistatore, nel 1453 la volle a modo suo rispettare ordinando di intonacare i mosaici, senza distruggerli, e limitandosi a coprire di tappeti i meravigliosi pavimenti bizantini.

Erdogan assicura che Ayasofya non verrà chiusa ai turisti e che, anzi, si potrà visitare, fuori dall’orario di preghiera, senza neppure pagare il biglietto d’ingresso. Come avviene nella vicina Moschea Blu del XVII secolo e nella splendida Suleymaniye, la moschea di Solimano il Magnifico edificata nel XVI secolo dal grande architetto Sinan, che lavorò con grande cura anche ai restauri di Ayasofya, a cui si ispirò.

C’è da sperare che il governo turco continui la tradizione ottomana di rispetto e cura della grande basilica bizantina che da 1483 anni racconta con la sua sola presenza il genio dell’uomo e la sua aspirazione all’eternità.

 

 

 

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