Turchia ferita dopo l’attentato

Un silenzio surreale avvolge ancora la capitale, metropoli di 16 milioni di abitanti. È questa l’impressione che si respira a tre giorni dall’attentato che ha causato la morte di 5 persone e il ferimento di altre 36. La testimonianza di un'italiana a Istanbul
Turchia

È il secondo grave attacco in una settimana a sconvolgere la Turchia, dopo quello di Ankara di domenica 13 (37 morti e oltre 70 feriti, rivendicato dai TAK, fazione curda più radicale): il popolo, la gente semplice, quella che non entra nei garbugli di una politica tutt’altro che chiara, piange e si sta chiedendo verso dove stiamo andando, come andrà a finire.

 

Quello turco è un popolo molto fiero, della propria storia e del proprio Paese e quest’attacco al cuore della bella e nobile Signora, l’altera capitale di 4 imperi, sembra una ferita a morte, difficile da capire e perfino da ammettere che sia potuto accadere. In gennaio era stato a Sultanahmet, stavolta al di qua del Corno d’Oro, nella centralissima Istiklal Caddesi, sempre affollata di gente di ogni parte del mondo, soprattutto il sabato pomeriggio. Se fosse successo qualche ora più tardi sarebbe stata una strage. Sui giornali dicono che il kamikaze si è fatto esplodere prima di arrivare al bersaglio previsto, per timore di essere scoperto dalla polizia.

 

Su Istiklal è normale, soprattutto nel week-end trovare appostati camioncini e centinaia poliziotti in assetto antisommossa. Le proteste sono all’ordine del giorno, assolutamente comuni di sabato, anche se sembrano sempre deboli, poco incisive, soprattutto perché super controllate. Quando c’è il rischio di qualcosa di serio (e di motivi ce ne sarebbero, come gli episodi eclatanti del governo contro la libertà di espressione) le autorità si affrettano a imporre misure preventive di ordine e vietare qualsiasi tipo di manifestazione.

 

Ma forse questo nuovo attentato era atteso, temuto, anzi in realtà è arrivato in anticipo sulle previsioni. Ieri e oggi, primi giorni di primavera, si prevedevano le celebrazioni del Newruz, capodanno curdo. Non ci voleva molto a immaginare che una popolazione pari a circa il 18 per cento dell’intera Turchia approfittasse di questa circostanza per farsi sentire. Nella situazione di crescente tensione a livello internazionale in cui la Turchia si vede coinvolta, si è acuito infatti il braccio di ferro coi curdi. Ed in effetti è da un paio di settimane che hanno iniziato a circolare, diramate da autorità locali e dalle ambasciate, raccomandazioni per rispettare accresciute misure di sicurezza, limitando spostamenti ed evitando luoghi sensibili e molto frequentati. I timori quindi erano giustificati. Rimandato anche il derby Galatasaray-Fenerbahçe, previsto per il 20 marzo, per il sospetto dei servizi segreti turchi che fosse in programma dell’IS alla fine del match un attacco simile a quello allo stadio di Parigi.

 

«Le vacanze pasquali arrivano ad hoc – non esita a dirmi un collega italiano – in un clima che ti toglie ormai anche la libertà di girare, manca il respiro. Quanto potremo durare?». Qualcuno anticipa il rientro previsto a giugno, altri, anche di fronte a buone prospettive di lavoro qui ci ripensano e declinano l’invito per venire a lavorare ad Istanbul. Per non parlare del colpo inferto al turismo. Durante le vacanze pasquali la città generalmente brulica di turisti, soprattutto europei. Ma il calo dell’afflusso di quelli che vengono a visitare la “porta d’Oriente” si fa sentire sensibilmente, già da un anno.

 

In questo contesto la piccola Chiesa cattolica, variegata con le comunità latina, armena, caldea, siriaca, ha iniziato la sua Settimana Santa. Ieri i giovani si erano dati appuntamento alla Cattedrale Saint Esprit, col desiderio di vivere, pur poco numerosi, la loro giornata della gioventù e il Giubileo. L’evento però ha dovuto essere annullato. Le celebrazioni del triduo pasquale avranno some al solito il tono semplice e familiare di una piccola Chiesa di minoranza.

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