Tunisia e Unione europea possono cooperare

Tempi rapidi per affrontare una situazione molto seria: il rischio di default dello Stato tunisino. Visita a Tunisi di Giorgia Meloni e poi il ritorno dopo pochi gioni della premier italiana insieme a Usula von der Leyen e Mark Rutte. Alla ricerca di un percorso fatto di ascolto, aiuti, madiazione e investimenti
Tunisia Unione europea
11 giugno 2023, Tunisi: da destra il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica tunisina Kais Saied e il presidente dei Paesi Bassi Mark Rutte. Foto: Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Che ci fossero problemi in Tunisia si sapeva da tempo, ma i due recenti viaggi a Tunisi della premier Giorgia Meloni, prima da sola e dopo qualche giorno con Ursula von der Leyen e il premier olandese Mark Rutte, sono un segnale evidente che i problemi sono urgenti e non riguardano solo gli affari interni tunisini né soltanto l’Italia in quanto vicino del Paese nordafricano. I problemi con possibili ricadute internazionali sono almeno tre, seri e interconnessi.

Il terzo in ordine di importanza —se si può stabilire una peraltro improponibile graduatoria— è quello relativo ai migranti che arrivano in Tunisia dall’Africa occidentale subsahariana, ma soprattutto di quanti —la maggior parte— che dalla Tunisia arrivano poi in Italia e più in generale nell’Unione europea, e che hanno ormai superato il numero di quanti arrivano dalla Libia. Ma in questo momento c’è soprattutto il secondo problema: la situazione economica dello Stato tunisino, prossimo al collasso, secondo il parere di Fitch Ratings. Un default che per l’Italia e l’Europa vorrebbe dire anche un aumento esponenziale di migranti —non solo tunisini—, e una cascata di altri problemi riconducibili ad uno, il primo: la questione energetica. Un default della Tunisia metterebbe a rischio il prezioso gasdotto Transmed fra Algeria e Italia —che attraversa la Tunisia— e creerebbe uno stand-by al mega-progetto europeo dell’elettrodotto sottomarino Elmed (da 850 milioni di euro) fra Capo Bon e Partanna (200 km), in Sicilia, della portata di 600 MW, che trasferirà energia da fonti rinnovabili, prodotta tramite impianti presenti o da realizzare nel Paese nordafricano. Quell’energia pulita di cui non solo l’Italia, ma l’Europa ha estremo bisogno.

Al di là di retoriche molto italiane su una ulteriore “invasione” di migranti africani, che prevale in una certa narrazione della congiuntura tunisina, in realtà ci sono quindi ben altri temi sul tappeto. Uno Stato fallito a pochi chilometri di mare può provocare enormi ricadute tutto intorno, oltre a non essere giusto né lungimirante non investire con un vicino come la Tunisia, nonostante il regime che si ritrova.

Il caso è esploso soprattutto per un prestito, non il primo, comunque da 1,9 miliardi di dollari che il Fondo monetario internazionale (Fmi) fa difficoltà a concedere alla Tunisia, in mancanza delle garanzie richieste. Un prestito comunque non risolutivo, perché il debito tunisino avrebbe bisogno di oltre 5 miliardi di dollari di finanziamenti esterni, circa il 10% dell’intero Pil del Paese.

Le garanzie chieste dal Fmi che il presidente Saied rifiuta sdegnosamente come “diktat straniero” sarebbero la ristrutturazione di oltre 100 aziende pubbliche improduttive e/o fortemente indebitate, senza prospettive, e la revoca dei sussidi statali su alcuni prodotti di base. Provvedimenti che rischierebbero effettivamente di scatenare una rivolta sociale che genererebbe probabilmente condizioni di vita peggiori delle attuali. In più, a febbraio, Saied se n’è uscito con una battuta pesante —peraltro in sintonia con il personaggio— su una sorta di complotto volto ad invadere la Tunisia da orde di subsahariani, al fine di trasformare il Paese da arabo ad africano. Riferimento alle solite politiche europee di contenimento dei migranti fuori dai confini, nei Paesi vicini? Forse, probabilmente, non solo.

Dopo la visita dei 3 leader europei per cercare mediazioni con il Fmi, possibilità di aiuto diretto e di investimenti, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha detto soprattutto una cosa: in Tunisia «la più grande area di investimenti che vediamo è l’energia… L’energia è un’area vantaggiosa per tutti. La Tunisia sta cercando di sfruttare il suo enorme potenziale per le energie rinnovabili. E l’Unione europea ha bisogno di fornitori affidabili di energia pulita, mentre stiamo elettrificando tutta la nostra economia. Pertanto, dobbiamo investire nelle nostre infrastrutture, in modo che la Tunisia possa esportare energia pulita in Europa».

La trattativa si è quindi riaperta: non sarà facile, ma occorre trovare accordi trasparenti che permettano a tutte le parti coinvolte di fare concreti passi avanti, creando possibilità di lavoro e di collaborazione, di cui sia la Tunisia che l’Unione europea —e l’Italia— hanno estremo bisogno.

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