Tunisia, Nejla Bouden premier: è la prima donna del mondo arabo
Il 25 luglio scorso il presidente tunisino Kais Saied ha licenziato il capo del governo Hichem Mechichi (laico indipendente di orientamento centrista) ed ha sospeso temporaneamente il Parlamento (presieduto da Rashid Ghannouchi, leader del partito islamico Ennhada, partito di maggioranza relativa, vicino ai Fratelli Musulmani).
Il 24 agosto, Saied ha prorogato queste misure a tempo indeterminato ed ha inoltre notificato sulla Gazzetta ufficiale che sarà lui a fare le leggi tramite decreto. Cosa rimane della repubblica semipresidenziale nata dalla primavera araba del 2011 e della costituzione del 2014? In proposito, Saied ha detto il 12 settembre che “le costituzioni non sono eterne” e si possono modificare se richiesto dalla volontà-sovranità popolare. E il 20 settembre oltre a mantenere le misure eccezionali (da lui stesso definite tali), ha annunciato la prossima nomina di un capo del governo, ma “sulla base di misure transitorie rispondenti alla volontà popolare”. E tra le norme che ha imposto, si afferma anche che “il presidente esercita il potere esecutivo con l’aiuto di un consiglio dei ministri presieduto da un capo di governo”.
È in questa prospettiva che va letto l’incarico conferito dal presidente Saied, mercoledì 29 settembre, alla nuova premier. La decisione, spiega infatti una nota della presidenza, è stata adottata ai sensi dell’articolo 16 del decreto presidenziale 117 relativo alle misure eccezionali.
Ed è certamente una cosa eccezionale, che nessuno si aspettava, il nome della persona alla quale il presidente ha conferito l’incarico di formare il governo: Nejla Bouden Romdhane, la prima donna in tutto il mondo arabo che riceve un incarico di questo livello. Se il presidente Saied voleva stupire, ebbene ci è francamente riuscito.
Nejla Bouden, 63 anni, è ingegnere e docente di geologia. Ha alle spalle una brillante carriera accademica e nella pubblica amministrazione, anche se non è certamente un’economista. Riuscirà a farsi accettare dalla litigiosa politica tunisina (che ha in fondo provocato la drastica reazione del presidente) ed a venire a capo dei problemi in cui è sprofondato il Paese? Perché la situazione è veramente arrivata all’esaperazione e le manifestazioni popolari anti-governative sono da mesi quasi all’ordine del giorno. La maggior parte della gente è certamente arrabbiata contro il governo, ma visti i risultati di questi ultimi mesi, ne ha motivo.
Il dato più eclatante, ma paradossalmente forse non il più grave, è stato l’andamento della pandemia, che a luglio, poco prima dell’intervento di Saied, aveva raggiunto 7.900 nuovi casi in un giorno (oltre il 90% delle terapie intensive). A fine settembre, la media settimanale di nuovi contagi è scesa a poco più di 700 casi al giorno, dopo 6 milioni di dosi di vaccini donate da vari Paesi, Italia compresa, e l’incremento delle vaccinazioni. Ma resta il fatto allarmante che in un Paese di soli 12 milioni di abitanti la pandemia abbia provocato (dall’inizio) la morte di quasi 20 mila persone e oltre 600 mila contagi. E il governo non ha fatto praticamente nulla per affrontare questa situazione fino all’arrivo dei primi vaccini, ad inizio agosto (secondo fonti Oms i contagi totali sarebbero 700 mila e i morti quasi 25 mila).
La pandemia ha anche incrementato una disoccupazione già endemica, che ha raggiunto il 18%, mentre quella giovanile ha superato il 40%. Il Pil è crollato di almeno 9-10 punti e il debito pubblico del Paese è cresciuto dal 72,5% del Pil nel 2019, al 90% nel 2020. Più dell’entità del debito, però, è preoccupante il fatto che si tratta per oltre la metà di debito estero, mentre è quasi inesistente quello dovuto ad investimenti strutturali e per lo sviluppo economico del Paese.
Clara Capelli, economista esperta di Medio Oriente e Nord Africa, in un intervento su ispionline.it del 30 luglio scorso, interpreta così, a suo avviso, il nodo fondamentale: “Indipendentemente dagli esiti della mossa del presidente Saied, la questione socio-economica continuerà ad essere disattesa. In Tunisia, come altrove, la corruzione non è tanto l’ostacolo allo sviluppo, bensì una delle espressioni del modello di sviluppo consolidatosi, che sia a fini di estrazione della rendita o per racimolare le risorse necessarie alla sopravvivenza”.
Ce la farà la nuova premier a trovare la strada per avviare un’evoluzione di questi complicati e atavici meccanismi? Riuscirà a muoversi autonomamente nonostante le premesse “presidenzialiste” di Kais Saied? Auguri, professoressa Bouden!