Tunisia: Kais Saied contro i migranti africani
Centinaia di manifestanti sono scesi in piazza il 25 febbraio a Tunisi per denunciare le dichiarazioni del presidente Kais Saied; che ha chiesto «misure urgenti» contro gli immigrati provenienti dall’Africa subsahariana, accusati di trasformare la Tunisia in «un Paese solo africano, che non ha alcuna affiliazione con le nazioni arabe e islamiche», e ha parlato di «orde di migranti irregolari» responsabili di criminalità e violenza. Dal 21 febbraio la polizia tunisina ha arrestato in diverse città più di 300 migranti dell’Africa subsahariana, tra cui donne e bambini. Gli immigrati sono sottoposti a ogni sorta di abusi: licenziati dal lavoro, dalle scuole, dall’università, espulsi dalle case; esposti alla vendetta popolare, alcuni di loro sono stati aggrediti per strada.
In una dichiarazione rilasciata nella tarda serata di venerdì 24 febbraio, «Il presidente della Commissione dell’Unione Africana (Ua), Moussa Faki Mahamat, condanna fermamente la scioccante dichiarazione rilasciata dalle autorità tunisine che prende di mira i concittadini africani e che va contro la lettera e lo spirito della nostra Organizzazione e dei nostri principi fondanti».
L’Ua ha ricordato alla Tunisia i suoi obblighi verso i 55 Paesi membri dell’Unione. Faki ha dichiarato che gli Stati membri dell’Ua hanno l’obbligo di «trattare tutti i migranti con dignità, da qualsiasi parte provengano, astenersi da discorsi di odio razziale che potrebbero danneggiare le persone e dare priorità alla loro sicurezza e ai diritti umani».
Il ministero degli Esteri tunisino ha dichiarato di essere sorpreso dalla dichiarazione dell’Ua e ha respinto quelle che ha definito «accuse infondate» che, a suo dire, hanno frainteso la posizione del governo.
Intanto gli africani di tutti i Paesi subsahariani stanno facendo la fila davanti alle proprie ambasciate in Tunisia per fuggire. Il 1 marzo scorso il presidente della repubblica di Guinea, Mamady Doumbouya, si è recato di persona all’aeroporto di Konakry per accogliere i suoi connazionali evacuati dalla Tunisia. Le immagini pubblicate mostrano cittadini esausti, ma felici di tornare a casa e che abbracciano uno ad uno il loro presidente. Una scena suggestiva di questa accoglienza è quella in cui il capo di Stato ha mostrato la sua commozione e la sua compassione prendendo in braccio un bambino di pochi mesi costretto a fuggire dalla Tunisia. Il presidente guineano, secondo un comunicato del 2 marzo 2023, ha colto l’occasione per ricordare il suo attaccamento agli ideali del panafricanismo e dell’aiuto reciproco tra tutti i popoli africani, bianchi o neri che siano.
Queste notizie si stanno diffondendo sui social con la stessa rapidità con cui si preme un pulsante; e con il loro “potere” di influenzare l’opinione pubblica hanno permesso a migliaia di persone di avere voce nella vicenda, purtroppo provocando anche come effetto collaterale altre violenze e discorsi di odio che stanno circolando da 10 giorni ormai in tutto il continente.
Mentre le voci di protesta si fanno sempre più forti, non mancano però segni e storie di solidarietà che meriterebbero di essere altrettanto raccontante e conosciute.
Samia (pseudonimo per mantenere l’anonimato) e il suo gruppo di tunisini solidali con i subsahariani sta aiutando un centinaio di persone, tra cui i migranti che da due giorni sono in sit-in davanti alla sede dell’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, delle Nazioni Unite). Ha affermato a Radio France Internationale: «Per le persone che purtroppo si trovano per strada, servono pasti pronti. Per le persone che sono a casa, carne, pasta, riso, cibi ricchi di amido… Cose che servono per andare avanti, soprattutto perché fa un po’ freddo. E poi latte per i bambini, pannolini e salviette, prodotti per l’igiene personale…».
Un gesto di solidarietà che passa da bocca a orecchio e sui social network, per aiutare sia i migranti in attesa di essere rimpatriati, sia quelli che restano chiusi in casa senza poter uscire per procurarsi il necessario.
«La situazione [in Tunisia] è molto allarmante – continua Samia – e può degenerare rapidamente. Quindi capisco benissimo che le persone si vedano costrette ad applicare la legge. Ma questa è un’analisi un po’ superficiale. Possiamo dare alla gente un po’ di tempo per organizzarsi. Possiamo concedere loro una tregua perché fa freddo, e non possiamo buttare le famiglie per strada. È davvero penoso, perché ci sono bambini molto piccoli in strada con queste temperature».
La storica Sophie Bessis (nata in Tunisia) afferma: «Risalendo molto indietro nella storia, in Tunisia c’è una vecchia tradizione razzista anti-nera che non è scomparsa, anche se negli anni ’60 e ’70 il panafricanismo, che era alla ribalta, aveva messo sotto silenzio questa vecchia tradizione, che deriva da una tradizione schiavista e dal fatto che le popolazioni nazionali nere sono sempre state emarginate. La Tunisia è attualmente in crisi. La ricerca di capri espiatori è sempre una compagna di una popolazione in crisi».
Moncef Marzouki, ex presidente tunisino dal 2011 al 2014, legge la situazione come «una crisi migratoria, ed è duplice. Vale a dire che l’intero Maghreb deve far fronte a una crisi migratoria proveniente dal Sud e, allo stesso tempo, è esso stesso fornitore di una crisi migratoria. In altre parole, anche algerini, marocchini e tunisini cercano di emigrare a causa della crisi economica e della crisi politica. Il Maghreb si trova quindi in una situazione estremamente difficile. Ma per risolvere questa crisi non bastano affatto le diatribe razziste, occorre una soluzione politica ed economica globale, che deve essere pensata su scala regionale, per stabilizzare le popolazioni, dare loro un livello economico e una sicurezza politica, perché nessuno lascia il proprio Paese di sua spontanea volontà, e di questo dobbiamo essere consapevoli. Si tratta quindi di un problema generale che deve essere affrontato razionalmente e politicamente, e soprattutto non in questo modo. La repressione è inutile».
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