Tunisi: la democrazia e il sangue

Ancora una tragedia, ancora sangue. Per la prima volta italiani uccisi dal terrorismo islamista: due morti e due dispersi, dentro un massacro che ha avuto ventiquattro vittime. Ecco il 18 marzo a Tunisi, che cambia la storia di tutto il Mediterraneo
Tunisi

In questi ultimi mesi, ma non solo, la Tunisia sembrava essere dimenticata dai governi e dai paesi della riva nord del Mediterraneo. Mesi fondamentali per la democrazia tunisina. Attraverso libere elezioni, aveva eletto l’assemblea costituente che poi aveva approvato la costituzione tunisina, il 27 gennaio 2014.

Davvero un miracolo politico, visto quello che è accaduto in altri paesi della riva sud dall’Egitto alla Siria, passando per la tragedia libica. Le recenti elezioni del presidente della repubblica avevano consolidato questo imponente processo democratico, che ha fatto della Tunisia un laboratorio politico di grande rilievo.

Si dimostrava così che non c’era incompatibilità tra islam e democrazia, che la libertà religiosa era un valore anche in uno stato musulmano. Nel suo piccolo, la Tunisia mostrava di essere un esempio per molti, sfatando luoghi comuni che si alimentano nella ignoranza di molti.

I terroristi islamici, uccidendo insieme musulmani e cristiani, persone della riva sud e riva nord del Mediterraneo, europei e americani, hanno voluto colpire al cuore il sogno democratico della Tunisia.

In questi anni ho conosciuto e amato il popolo e le istituzioni tunisine. Ho vissuto a Tunisi il giorno del dolore per la uccisione di Belaid, grande leader democratico tunisino, e sempre a Tunisi ho vissuto la gioia della costituzione.

Dall’11 dicembre 2011, mio primo viaggio in Tunisia, ho capito che questo Paese non poteva e non doveva essere abbandonato, al contrario doveva essere sostenuto attraverso coraggiosi programmi di rafforzamento delle istituzioni, di sostegno al sistema sanitario, di valorizzazione dell’economia sociale e solidale, di formazione delle classi dirigenti.

Ho capito subito che non c’era alternativa alla cooperazione, rispondente ad un bisogno di rinnovamento. Quella sarebbe stata ed è anche oggi la via maestra.

I terroristi, uccidendo 24 persone e facendo circa cinquanta feriti, hanno voluto dimostrare che sono più forti della democrazia, che la Tunisia può essere piegata ad un disegno di paura e di terrore. Ma è un tentativo vano, perché la democrazia è più forte della violenza.

Quando la Regione Toscana, insieme alla Regione Francese di Paca, hanno cominciato a cooperare insieme con la regione di Kassirin, eravamo (e siamo) convinti che la via della cooperazione coraggiosa e innovativa è l’unica via per il futuro di pace del Mediterraneo. Non ci sono scorciatoie.

A Kassirine abbiamo costruito relazioni importanti, con progetti di unificazione della società civile. Penso al sindaco di quella città, penso al governatore, pieno di idee di modernizzazione.

Penso ai ragazzi tumultuosi di Tala, piccolo comune non lontano da Kassirine, che per qualche minuto ci imprigionarono con la loro presenza e solo un forte e credibile appello al loro presente e futuro permise a ciascuno di uscire da quella povera sala. Io ricordai loro la mia poliomielite e questo bastò a dare forza alle mie parole.

Racconto questi episodi, apparentemente poco significativi di attività di cooperazione, perchè due ragazzi di Kasserine hanno fatto parte del commandos che ha effettuato la strage. Forse nonostante fossimo i primi, siamo arrivati tardi e le nostre parole non sono state sufficientemente credibili.

Ma oggi, ricordando con commozione le persone uccise al museo del Bardo, luogo unico della cultura tunisina, e condividendo il dolore dei parenti, dobbiamo ancora con maggiore convinzione sostenere la Tunisia, la democrazia tunisina che appare oggi il punto più alto di resistenza politica al terrore sulla riva sud del Mediterraneo.

Qualcuno ha proposto una forma di polizia internazionale per evitare queste stragi, per evitare il dominio mediatico/militare dell’Is. Si può discutere laicamente di questa proposta, senza farsi catturare da ideologismi. C’è poi l’azione dell’intelligence, che va sostenuta e potenziata. Rimane comunque l’impegno a cooperare e rafforzare insieme la democrazia tunisina.

Un impegno che in questi tre anni è stato al di sotto dell’urgenza e della necessità politica, per un gravissimo errore di sottovalutazione. Non sono stati molti gli europei che si sono recati a Tunisi, dalla caduta di Ben Ali ad oggi. E come sempre in ordine sparso.

Se oggi i terroristi islamici hanno potuto colpire in questo modo devastante, è perché il cammino della Tunisia non è stato rafforzato da una politica visionaria e coraggiosa dell’Europa. Qualche pacca sulla spalla e poco più. In fondo a Tunisi si è compiuto l’ultimo gesto in ordine di tempo di quella deriva della violenza che è iniziata con la prima guerra del Golfo.

Dunque con ancora più coraggio c’è bisogno di politiche di cooperazione, di non farsi catturare dalla paura, di tenere con forza la barra dritta della politica. Non accettiamo di diventare, con la paura, ostaggi dell’Is. Possono essere sconfitti, devono essere sconfitti.

Non lasciamo ai terroristi di dare le carte lungo la partita per la democrazia tunisina. Stamattina un giornale italiano caricava questa strage sulla spalle dell’Islam, quando è l’Islam la prima vittima di questa immane tragedia. I terroristi dell’Is sono i veri bestemmiatori del Dio unico e compassionevole.

E la partita si gioca a Tunisi e Kasserine, nel centro e nella periferia, sulla costa e nel deserto, sui monti e verso il mare. Siamo tutti coinvolti, siamo tutti tunisini. Questo i nostri connazionali uccisi lo hanno detto con il sangue, sigillando per sempre l’unità, la fraternità e l’amicizia tra i due popoli, dentro il grande mare Mediterraneo

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