Trump e l’anima fragile della democrazia Usa
(da New York) L’arresto e l’accusa di un ex presidente hanno segnato una svolta nella storia americana. Quella di martedì è stata una giornata inimmaginabile e dolorosa per la democrazia più antica al mondo. Per la prima volta in oltre due secoli, un presidente americano, ora in pensione, forse temporaneamente, forse no, si è seduto in un’aula di tribunale che è stata frequentata da criminali e truffatori, con la possibilità di finire in una cella. Da quando Donald Trump è stato eletto alla Casa Bianca si sono verificati così tanti primati impensabili, così tanti confini inviolabili sono stati superati, così tanti eventi inimmaginabili hanno scioccato il Paese e il mondo che è facile perdere di vista il rilievo della sua incriminazione. La vicenda giudiziaria di Donald Trump esula dalla sua persona, dallo show mediatico che vi si è costruito attorno, da una campagna elettorale sempre più partigiana e avvelenata: i 34 capi di accusa elencati dal procuratore di Manhattan, Alvin Bragg, hanno cambiato la percezione della presidenza americana.
Mentre il procuratore leggeva la lista dei crimini, la parola presidente non è stata mai pronunciata: Trump era di fronte alla legge da cittadino e come tale era chiamato a rispondere della presunta falsificazione di registri contabili per giustificare il pagamento sottobanco di una ex pornostar, di una ex modella di Playboy e di un portiere che avrebbero potuto con le loro testimonianze mettere a rischio la sua elezione a presidente, nel 2016.
«Non possono batterci alle urne, quindi cercano di batterci attraverso la legge», ha detto martedì sera un Trump più sommesso del solito, stanco, incredulo, commentando una verità che l’apparizione mattutina in tribunale ha reso ancora più palese: «Siamo una nazione in declino».
L’elezione di Trump per il conservatore David French ha aperto una finestra sull’anima dell’America, rivelando fragilità non sanate, dal razzismo alla faziosità, alle discriminazioni. Earl, afroamericano, che lavora nella sede di una delle più prestigiose banche di Wall Street, dichiara senza mezzi termini che Trump «è una persona sgradevole e a New York tutti lo conoscono perchè rifiutava gli affitti ai neri e ai latini e ha osato comprare intere pagine di giornali per chiedere la condanna a morte di afroamericani vittime di un sistema di discriminazione».
Se le azioni di Trump sono rimaste coerenti nel tempo, come Earl sostiene, «le sue parole e il suo agire hanno invece rivelato chi siamo», secondo French. Trump non è stato un catalizzatore del cambiamento, ma uno specchio di come gli Stati Uniti attraverso gli atteggiamenti e le scelte degli elettori riflettono fattori antichi che non sono cambiati molto di fronte alle sfide sempre nuove dei tempi.
Forse l’ultimo scandalo Trump farà poco per cambiare il modo in cui la narrativa di partito ha polarizzato il Paese, dove la priorità è difendere la propria parte più che preservare la democrazia che a quei partiti consente di operare. Tuttavia le altre indagini che vedono l’ex presidente ancora sotto i riflettori della giustizia potrebbero costringere a ripensare la relazione tra potere e responsabilità. In Georgia Trump è accusato di interferenza nel conteggio dei voti delle presidenziali 2020; mentre un’altra indagine federale sta valutando le sue responsabilità nell’assalto al Campidoglio, sede di Camera e Senato, il 6 gennaio 2021.
Sul fronte newyorchese la prossima udienza preliminare è stata fissata a dicembre, con il processo che potrebbe iniziare nel gennaio del 2024, in concomitanza con le primarie e senza che questo infici la corsa alla presidenza. Intanto l’incriminazione a New York, ha consentito alla sua campagna elettorale di ricevere donazioni per 8 milioni di dollari, mentre si prepara una campagna di marketing che intende sfruttare come brand la data del 4 aprile. L’incriminazione di Trump porta il paese in acque certamente inesplorate, che neppure gli autori della Costituzione avrebbero mai immaginato di dover solcare.
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