Trump, il repubblicano che divide il suo stesso partito

Il miliardario newyorkese si è aggiudicato con le primarie la nomination nella corsa alla Casa Bianca. Non mancano malumori e contestazioni per le sue uscite contro gli immigrati, i musulmani, le donne e gli avversari politici, che lo etichettano come un nuovo Mussolini
Donald Trump in uno dei suoi comizi

L’ultima polemica è la petizione lanciata online per rimuovere la stella dedicata a Donald Trump dalla Walk of fame, la strada che Hollywood ha dedicato a divi e celebrità di tutti i tempi. In poche ore la campagna ha raccolto oltre 50mila adesioni. Qualche giorno fa a San Diego in California ci sono state violente contestazioni al comizio del magnate newyorkese che doveva infiammare gli elettori in vista delle primarie del 7 giugno e che invece ha raggiunto il risultato di 35 arresti e 18 feriti. Poi ci sono state le critiche alla governatrice repubblicana del New Mexico accusata di mantenere un’intera popolazione con gli aiuti alimentari statali: se lui non fosse stato impegnato per altro "si sarebbe candidato come governatore perché avrebbe saputo far meglio".

 

La corsa di Trump alla Casa Bianca è disseminata costantemente di plausi e contestazioni. Le sue uscite contro i migranti messicani accusati di essere trafficanti di droga, criminali e stupratori o quelle contro i musulmani, potenziali terroristi a cui dovrebbe essere impedito l’accesso negli Usa o  ancora i suoi proclami nazionalistici che hanno risuscitato "l'orgoglio bianco", se da un lato accendono i suoi sostenitori, dall’altro continuano a creare dissapori all’interno dello stesso partito Repubblicano diviso e imbarazzato nell'appoggiarne la candidatura alle presidenziali.

 

Con 1238 delegati conquistati alle primarie, non ancora concluse in tutti gli Stati, il miliardario newyorkese si è appena aggiudicato la nomination alle elezioni di novembre anche se si dovrà attendere la convention del Partito repubblicano a Cleveland, il prossimo 18 luglio, per ufficializzarla definitivamente. I delegati esprimono comunque una volontà degli elettori che nelle primarie li scelgono perché sostengano il candidato nominato, ma questo non toglie che i repubblicani sulla nomina di Trump si trovino combattuti e divisi.

 

Il presidente della Camera, il repubblicano Paul Ryan, portavoce del partito in questi mesi ha dichiarato apertamente la sua difficoltà a sostenere Trump e non è il solo, perché vari governatori, senatori e persino analisti politici notoriamente repubblicani hanno pronosticato venti di sciagura per il futuro del partito conservatore se Trump non sarà fermato. L’ex governatore del Massachusetts,  William F. Weld ha paragonato il piano di immigrazione proposto dal magnate a quello adoperato da Hitler durante la notte dei cristalli, quando case, negozi e sinagoghe di migliaia di ebrei vennero date alle fiamme, provocando numerosissime vittime.

 

Anche l’attore George Clooney e la sorellastra di Anna Frank hanno usato simili analogie, al punto da provocare una dichiarazione pubblica della moglie di Trump: “Donald non è Hitler”. Il candidato alla presidenza, dal canto suo, ha replicato duramente a Weld “Come io non parlo del suo alcolismo, perché lui pretende di giudicare la stupida percezione del mio fascismo?”. L’ex governatore era stato sorpreso dai paparazzi ubriaco, ma l’intervento di Trump lo ha presto demonizzato trasformandolo in alcolizzato cronico.  Ma non è finita qui perché proprio questa settimana intervistato da un giornalista della Nbc, la televisione pubblica statunitense, il magnate ha voluto anche precisare l’utilizzo della citazione di Mussolini “meglio vivere un giorno da leone che 100 anni come una pecora" in uno dei suoi comizi. “So chi l'ha detto," ha voluto precisare. "Ma che differenza fa se si tratta di Mussolini o di qualcun altro?  Voglio essere associato a citazioni interessanti e questa ha certamente ha ottenuto la vostra attenzione di giornalisti, non è vero?". 



L’imprevedibilità di Trump e la mancanza di controllo è certamente uno dei nodi di maggiore contrasto all’interno del suo stesso partito e è proprio per questo che, nei giorni scorsi, è volato a Washington per tenere una serie di incontri riservati con le più alte cariche del G.O.P. (altra sigla dei Repubblicani) per dimostrare di essere un conservatore responsabile. Certo è che Trump ama mantenere il dramma e anche il suo incontro con Paul Ryan è stato annunciato come un match tra pesi massimi, mentre Ryan vorrebbe che si lavorasse più sui programmi che sugli slogan, perchè le distanze sui temi delle tasse, della riforma sanitaria e degli accordi di libero scambio stanno aumentando.

 

“Cosa resta da fare a noi repubblicani sconvolti da questo candidato?”, si chiede David Brooks editorialista conservatore del New York Times. “ Non certo quello che stanno facendo alcuni dei nostri leader che stanno lavorando al ribasso e sono inconsapevoli del fatto che la storia li giudicherà per aver camminato con Trump ed essersi contaminati con lui, un destabilizzatore perpetuo che agisce senza un minimo di etichetta presidenziale e che ha completamente degradato qualsiasi norma”. Intanto però gli elettori premiano queste tattiche al vetriolo e apparentemente prive di strategia politica e i dirigenti del partito sembrano così impegnati a ricucire le falle interne da dimenticare che la corsa alle presidenziali ha altri avversari: Hillary Clinton e Bernie Sanders e tutti gli statunitensi che si attendono davvero una rinascita comunitaria del Paese.

 

Ma chi sono gli elettori di Donald Trump? Troverete un approfondimento sul prossimo numero di Città Nuova

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