Troppa aggressività nel calcio

Anche in Spagna e Portogallo cresce l’intolleranza contro gli arbitri. Un segno della mancanza di quei valori di tolleranza e condivisione di cui lo sport dovrebbe essere portatore.

Uno dei tanti episodi di violenza nello sport è accaduto domenica 2 aprile all’arbitro portoghese José Rodrigues, in una partita della divisione d’élite regionale a Canelas: quando è voluto intervenire nella rissa tra i giocatori, una ginocchiata in faccia da parte di un calciatore l’ha fatto svenire, col naso rotto in tre punti. Risultato: ospedale e intervento chirurgico.

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Il fenomeno dell’attacco agli arbitri in Portogallo sembra ogni giorno più normale: l’ha ammesso a metà aprile Luciano Gonçalves, presidente dell’Associazione portoghese degli arbitri di calcio, in dichiarazioni ai media. «Finora – ha detto – quest’anno 47 arbitri sono stati aggrediti. Se non prendiamo delle misure serie, è probabile che prima o poi uno di loro resti ucciso in campo». Più si va in giù nelle categorie calcistiche, più rischioso diventa per un arbitro svolgere il suo compito. Mentre gli arbitri della prima divisione hanno una certa protezione della polizia e contano pure su una linea telefonica dove denunciare minacce e aggressioni, quelli delle categorie inferiori «sono abbandonati alla sua sorte», dice Gonçalves. Infatti, buona parte degli episodi violenti succede pure nelle partite giovanili, dove gli stessi genitori sono protagonisti degli attacchi.

 

Episodi simili accadono pure nella vicina Spagna. Domenica 19 marzo, una partita tra ragazzi di 12 e 13 anni ad Alaró (Isole Baleari) è stata sospesa perché i genitori dei giocatori, scontenti di una decisione dell’arbitro, lo hanno preso a pugni, ma con la sfortuna che un anonimo spettatore stava registrando tutto col cellulare e che il tafferuglio si è diffuso viralmente nelle reti sociali e nei telegiornali. Questo è solo un esempio, diventato noto, delle tante aggressioni che si producono nelle più di 20 mila partite di calcio che ogni fine settimana si giocano in Spagna, uno sport che conta con più di un milione di praticanti.

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Secondo un rapporto della Commissione statale contro la violenza, il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza nello sport, nella stagione 2015-2016 gli incidenti registrati, 115, sono aumentati in un buon 47%. «Genera inquietudine il crescente numero d’incidenti che hanno come oggetto gli arbitri», dice il rapporto. In realtà il fenomeno non è nuovo. Infatti, club come il Valencia o l’Atletico Madrid da un po’ di tempo vietano ai genitori di assistere agli allenamenti dei ragazzi nelle squadre inferiori. Disturberebbero troppo il lavoro degli allenatori! Altre istituzioni pubbliche e private cercano di scendere in campo con proposte sull’educazione ai valori sportivi, come ad esempio fa il Manuale per genitori: sport e valori, i cui autori (Guillermo Calvo e David García) suggeriscono diversi atteggiamenti per evitare di arrivare ai pugni.

 

Ma perché tanta violenza? Forse, si dice, nell’edonismo imperante della cultura occidentale contemporanea è mancata una certa dose di «educazione a sopportare» le contrarietà e le difficoltà. Il calcio, essendo più mediatico, offre tanti esempi negativi. Ma non solo.

 

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