Trono Ludovisi: un falso capolavoro?
Forma il vanto di Palazzo Altemps, a Roma, ricco di strepitosi pezzi dell’arte classica
Eccomi davanti al cosiddetto Trono Ludovisi, uno dei più celebri marmi dell’antichità, la cui provenienza dalla Magna Grecia, e precisamente da Locri, dove il rilievo pare rivestisse il pozzo sacrificale del santuario dedicato ad Afrodite, è stata accertata da una studiosa del calibro di una Margherita Guarducci.
Guardiamola da vicino questa scultura, da sempre qualificata come un “capolavoro” originale greco, ma che qualche anno fa rischiò di venire sdegnosamente relegata in qualche remoto sgabuzzino solo perché lo storico dell’arte Federico Zeri l’aveva attribuita ad uno “scalpellino” del 1800.
Sulla fronte del rilievo una giovane donna indossante un chitone ionico trasparente, identificata come Afrodite mentre nasce dal mare o compie il suo lavacro rituale, viene sollevata da due figure femminili chine su di lei: scena di estrema compostezza e armonia, nell’intreccio delle braccia e nei panneggi che disegnano le membra; tutta intrisa di luce e di acque, che ben rendono il clima gioioso – e di miracolo – di una nascita o di una rinascita.
Ai lati del rilievo una flautista nuda, probabilmente una etèra (presso i templi di Afrodite era praticata la prostituzione sacra), e una pudica figura di donna ammantata, intenta a bruciare grani di incenso: simboli, rispettivamente, dell’amore terreno e di quello celeste, o più semplicemente ministre che onorano con diversità di uffici la più affascinante delle dee? Comunque sia, l’impressione è di trovarsi davanti ad una delle più caste e spirituali opere che ci abbia tramandato l’antichità, se la stessa suonatrice-etèra appare tutta trasfigurata nel canto del suo doppio flauto, che bene esprime la musicalità emanante da quest’opera squisitamente “femminile”. A chi essere debitore di questa emozione? All’anonimo scultore greco del V secolo o all’altrettanto oscuro “scalpellino” di due secoli fa?