Trivelle: le ragioni del sì, del no e di chi si astiene
La vicenda affonda le sue lontane origini in una catastrofe: l'esplosione della piattaforma petrolifera Deep Horizon nel Golfo del Messico, che nel 2010 provocò una gigantesca marea nera, i cui effetti nell'area sono gravi ancora oggi.
Dal 2010 al 2012, entro le 12 miglia, le attività estrattive esistenti potevano continuare nel limite di concessione di 30 anni salvo rinnovo, ma non potevano sorgere nuove basi per l’attività estrattiva (governo Berlusconi).
Dal 2012 al 2015 si è resa possibile la costruzione di nuove basi per l’attività estrattiva (governo Monti).
Dal 2015 il governo Renzi ritorna alla disciplina del 2010 con l'assoluto divieto di nuove basi di estrazione. A quelle esistenti, però, si toglie il limite di concessione 30ennale, che diviene invece illimitato, con l’effetto che l’attività estrattiva può estendersi in profondità, anche a discapito degli equilibri ambientali. Ed è proprio per abolire o mantenere questa norma, che si andrà (oppure no) alle urne il 17 aprile.
La Legge di Stabilità 2016 ha stabilito il divieto di ricerca e coltivazione idrocarburi nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle coste, tranne che per «i titoli abilitativi già rilasciati, fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento».
Perché le 12 miglia? È il limite massimo del mare territoriale, come fissato dall'articolo 3 della Convenzione di Montego Bay che stabilisce che ogni Stato è libero di stabilire l'ampiezza delle proprie acque territoriali, fino a un'ampiezza massima di 12 miglia marine, misurate a partire dalla linea di base.
Nel mare territoriale, ogni Stato mantiene la sua sovranità, ecco perché gli italiani votano per la legislazione entro tale limite. Inoltre il decreto Prestigiacomo del 2010 ha fissato tale limite anche per la salvaguardia delle coste e la tutela ambientale.
Occorre però guardare alle varie posizioni sotto il profilo della loro validità giuridica e geopolitica. Il problema è, infatti, ben più esteso rispetto al singolo quesito referendario!
I perché del sì:
– Vota sì chi ritiene che tutte le concessioni per l'estrazione di idrocarburi, compreso il petrolio, debbano avere una durata 30ennale. A sostegno di questa posizione del SÌ c’è che, effettivamente, nessuna concessione viene mai rilasciata a tempo indeterminato, se non altro perché si tratta di diritto derivato. Infatti le compagnie petrolifere “acquistano” un diritto dallo Stato (mare territoriale) per estrarre gli idrocarburi dietro pagamento di alcune fees (tasse. Nel diritto amministrativo si distingue tra concessione e autorizzazione, solo in caso di autorizzazione il richiedente è già titolare del diritto e chiede allo Stato l’eliminazione di un limite per goderne). A livello comunitario nessuna concessione è a tempo indeterminato pertanto la permanenza di una disciplina nazionale che prevede il rilascio di concessioni a tempo indeterminato si pone quantomeno in contrasto con il diritto comunitario;
-Vota sì chi si pone la questione ambientale: chi teme, cioè, per i risvolti che l’estrazione fino alla “durata di vita utile” possono avere sulla fauna e flora marina, nonché sulla crosta terreste, con il possibile aumento di terremoti;
– Vota sì chi si pone la questione energetica e spera, col suo voto, di spingere il governo a cercare forme diverse di energia (ad esempio nuovi investimenti per le energie rinnovabili).
I perché di chi si astiene:
-Chi si astiene lo fa al fine di non far raggiungere il quorum deliberante: questo sarebbe un segnale di indifferenza rispetto all'argomento, in quanto alcuni siti estrattivi già sono privi di possibilità di estrazione e comunque la scadenza naturale delle concessioni vedrà la definitiva chiusura di tutti i siti entro il 2036, a fronte dei rinnovi già concessi. C’è anche chi dice che, se vincesse il sì, le concessioni verrebbero in scadenza per scaglioni, con la possibilità che nel medio tempore i giacimenti comunque vedrebbero il loro declino produttivo, considerato che molti di loro sono già quasi del tutto utilizzati.
-Si astiene, inoltre, chi ritiene che, se non venissero rinnovate le concessioni in scadenza entro le 12 miglia, si perderebbero molti posti di lavoro e gli investimenti andrebbero persi.
I perché del no:
-Vota no chi ritiene necessario che le compagnie petrolifere chiedano un prolungamento dell’attività e, ottenute le autorizzazioni in base alla Valutazione di impatto ambientale, estraggano gas o petrolio fino all’esaurimento completo del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale, come previsto dal comma 239 della Legge di Stabilità 2016.
-Vota no che ritiene che, quella dell'estrazione di idrocarburi, non sia soltanto una scelta nazionale: se non si giunge a determinazioni in ambito europeo, il nostro caso isolato potrebbe non avere alcun effetto utile;
-L’Italia, al momento, utilizza solo il 10% del petrolio estratto. La chiusura delle centrali estrattive comporterà, in assenza di una legislazione sulle rinnovabili, il maggior ricorso ad acquisti di petrolio dal resto del mondo;
– gli acquisti dal resto del mondo comportano il trasporto del petrolio per i nostri mari, con possibili grandissime conseguenze ambientali (vedi emendamento Renzi sul trasporto di petrolio a Taranto, nel quale non sono previste royalties in favore del comune tarantino, che vedrà aumentare il livello di inquinamento – per l'ampliamento del porto e il passaggio delle navi– con rischi collegati al transito delle petroliere ed eventuali incidenti ambientali).
Su questo argomento leggi anche:
Il referendum sulle trivelle in mare. Cosa è in gioco? di Lorenzo Russo;
Cosa si decide sulle trivelle in mare, di Alessio Valente;
La Francia sceglie la moratoria delle trivellazioni in mare di Rocco Femia;
La posizione di Legambiente, di Giustino Di Domenico
Ambientalisti contro il referendum di Monica Tommasi e Tommaso Franci
Un referendum inutile e fuori tempo di Giovanni Arletti