Trivelle e fabbisogno mondiale di energia

In un modo o nell’altro alle grandi società coinvolte (Eni e Edison) non conviene continuare a estrarre combustibili fossili dai nostri mari. La richiesta di energia, ancora da petrolio e gas, è destinata tuttavia ad aumentare per lo sviluppo crescente dei Paesi emergenti
Trivelle Foto Ansa

Il prossimo 17 aprile saremo chiamati a decidere con un referendum se negare o meno la proroga, fino all’esaurimento dei giacimenti, delle esistenti concessioni marine di estrazione di gas naturale e petrolio nelle nostre acque territoriali (22 chilometri).

 

Essa riguarderebbe il giacimento di gas naturale di Eni al largo di Ravenna e quelli di petrolio di Edison nel mare abruzzese e in quello ragusano in Sicilia. Negando le proroghe si scoraggerebbero nuove trivellazioni in quei giacimenti, che potrebbero indurre sversamenti, comunque contenibili data la limitata profondità dei fondali marini.

 

Il referendum è l’unico dei sei richiesti da nove regioni dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale, dopo che il governo nella legge di stabilità aveva recepito buona parte delle istanze proposte.

 

Il partito di maggioranza del governo, che non ne ritiene utile il successo, invita ad astenersi, vanificandolo per non raggiungimento del quorum del 50 per cento degli aventi diritto al voto, e lo ha indetto in data diversa da quella delle prossime elezioni amministrative in molte grandi città; la sua organizzazione così costerà di più, anche se questo costo sarà a vantaggio dei tanti giovani che si proporranno nei seggi come presidenti o scrutatori.

 

Quale impatto concreto avrà l’esito del referendum, in un senso o nell’altro?  Non penso rilevante: con gli attuali bassi prezzi del petrolio, anche se concesso, né Eni né Edison proporrebbero nuove trivellazioni, l’Eni perché impegnato a sviluppare il mega giacimento da poco scoperto nel mare egiziano e l’Edison perché poco interessata ad aumentare la produzione di petroli che sono ad alto zolfo e con alto contenuto di bitumi.

 

Vi è chi invoca il successo del referendum per mantenere gli impegni della conferenza di Parigi sull’ambiente, oggi resi ancor più pressanti dalla impressionante serie degli ultimi mesi, tutti con temperatura record a memoria d’uomo, ma comunque l’impatto del risultato del referendum sarà comunque minimo.

 

L’utilizzo del petrolio ed ancor più del carbone vanno certamente ridotti, però occorre fare bene i conti: pur investendo nelle energie rinnovabili, va tenuto conto che una parte rilevante della popolazione mondiale in questi anni si sta economicamente sviluppando e tende a consumare sempre più energia, particolarmente in Asia ed Africa.

 

Un aumento di richiesta di energia così rilevante che anche se le energie rinnovabili e i risparmi di consumo prenderanno sempre più campo, la quota di energia che deve essere fornita dai combustibili fossili, pur ridotta in percentuale, crescerà ancora in valore assoluto: fra venti anni serviranno ancora 120 milioni di barili al giorno di petrolio, il venti per cento in più della produzione attuale.

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