Trittico con “stelle”
Classico e contemporaneo in un trittico che riunisce un vero concentrato di stelle del firmamento ballettistico internazionale: Roberto Bolle, Giuseppe Picone, Svetlana Zakharova, Eleonora Abbagnato. Il Teatro San Carlo di Napoli accosta, intelligentemente, un titolo ottocentesco, La Bayadére, al più recente L’Arlesienne di Roland Petit (1974), e una novità assoluta, La solitudine del vento, commissionata al venticinquenne coreografo moscovita Nikita Dmitrievskiy. De La Bayadère, oleografico esempio di esotismo e fuga dalla realtà del coreografo Petipa con musica di Minkus, Derek Deane ricostruisce l’Atto delle Ombre, punto di forza del balletto, dove il guerriero Solor si ricongiunge, in spirito, all’amata Nikya, uccisasi per Zakharova e Bolle amore. Pagina superba di danza classica, dove la protagonista compare in un’atmosfera lunare preceduta da ventiquattro ombre in un lento fluire di passi che creano un ipnotico crescendo. A dare consistenza all’amore sublimato sono Roberto Bolle, potente e morbido; e Svetlana Zakharova dalle linee pure. Con Petit vince sempre la fantasia. Perché le idee, quando ci sono, conquistano sempre. E rimangono. Come per L’Arlesienne (musica di Bizet), storia di due giovani amanti provenzali, attor-niati da un nugolo di contadini, sullo sfondo di un paesaggio alla Van Gogh. Balletto d’impianto narrativo ispirato al folklore, affascina ancora per la vivacità dello stile e la forza del gruppo e degli assoli: come il trascinante finale in cui la follia spinge il protagonista ad un tragico volo dalla finestra. E Giuseppe Picone sfodera phatos e tecnica, accanto ad una mirabile Abbagnato. In La solitudine del vento, nello splendore del suo vuoto, illuminato da quadrati o da cerchi di luce, la scena si staglia nerissima, facendo risaltare una polifonia di corpi di volta in volta indipendenti o correlati. Su musica di Bach sei uomini e sei donne, in un avvicendarsi di accelerazioni, stasi, fughe, creano una trama di movimenti e di linee astratte, ora sincronici, ora sfalsati. Ogni singolo ballerino mette in scena sé stesso. Quindi si unisce agli altri per poi tornare a separarsene. Soltanto il sibilo improvviso del vento sullo sfondo di nubi in movimento, rompe la melodia barocca. Dmitrievskiy rivela un talento raro per l’inventiva plastica e la purezza gestuale (che ricorda il lessico di Forsythe), plasmata sui giovani, bravissimi, interpreti del San Carlo con in evidenza Ugo Ranieri, Corona Paone, Vincenzo Pezzuto. Picone e Abbagnato L’ORA DI RICHARD STRAUSS Elektra, Teatro dell’Opera. Fantastico Will Humburg che elettrizza una magnifica orchestra nell’atto unico di von Hofmannsthal-Strauss, non sempre ispirato – come Salomè – ma con momenti di alta drammaticità. Elettra, come chi non sa dimenticare e perdonare, è morta dentro di sé e nemmeno la vendetta le dà pace. Henning Brockaus deve aver colto questo, se nell’unica scena – un palazzo corroso fra pioggia e sangue – agita con disperato clamore i personaggi, fra cui la protagonista Janice Baird, dal timbro forte e squisito, attrice splendida. Il cromatismo lancinante, fra Wagner e Mahler, della partitura lascia il suo segno stridente nel pubblico, lo scuote con un’ora e mezzo di musica dell’esasperazione, così moderna, così infelice. Così parlò Zarathustra. Accademia di Santa Cecilia. Antonio Pappano, 45 anni, affronta di petto il brano, con la gestualità libera e forte con cui prima ha illuminato la Sinfonia Il filosofo di Haydn e il Psalmus Hungaricus di Kodály. Senza dar requie all’orchestra, facendola suonare gioiosamente in ogni sezione, il futuro neo-direttore rivela l’ansia di nuovi mondi di Strauss, il suo far rivivere i millenni come cosa d’oggi, grazie ad un’orchestrazione affascinante come poche. Che Pappano esalta, dosando percussioni ed archi con meraviglioso equilibrio. Successo vivissimo.