Trionfa il Rossini Opera Festival

Un livello molto alto, una partecipazione notevole, da 45 nazioni.

Rossini a 150 anni dalla sua dipartita deve essere contento. Perché il ROF 2018 a Pesaro ha registrato 18.300 presenze di ben 45 nazioni. Una cosa che al Nostro avrebbe fatto immenso piacere, anche guardando agli incassi. Certo, il livello è stato molto alto. A parte la Petite Messe solemnelle conclusiva, diretta da Giacomo Sagripanti, di notevole spessore, è il caso di soffermarsi sulle altre opere andate in scena. Iniziamo dalla “rivelazione” che è stato Il Barbiere di Siviglia.

Potrà sembrare strano usare questo termine con un lavoro popolarissimo fin dal 1816 e resuscitato decenni orsono dalla celebre edizione Abbado-Ponnelle. Anche questa del 2018 può diventare di riferimento. In primo luogo per l’allestimento di un candido neoclassicismo di Pier Luigi Pizzi che si è divertito pure a far ballare modernamente i cantanti nei concertati, ma soprattutto nel far emergere il drammatico cinismo di don Basilio, finalmente non vestito da prete (La calunnia) e don Bartolo, finalmente non un vecchio parruccone ma un medico potente in città (A un dottor della mia sorte), due figuri loschi, altro che due macchiette. Insomma è la commedia di carattere a venire fuori, non l’opera buffa rovinata dalle stramberie interpretative.

Sul versante musicale, l’ottima Orchestra Nazionale della Rai ha seguito gioiosamente la direzione di Yves Abel, chiara come il sole, che ha fatto finalmente udire la bellezza del suono del fagotto, del clarinetto, del corno – così amati da Rossini – e le bizze degli archi. Ne è uscita una trasparenza musicale di rara finezza, rapida, ricca di verve e di colori.

Giusto il cast: dal tenore Maxim Mironov, elegante damerino dalla voce estesa, al contralto Aya Wakisozono (voce talora acerba, ma promettente),allo scoppiettante, melodioso Figaro di Davide Luciano, sino alla gloriosa Berta di Elena Zilio. Sulla bravura del balbuziente Don Basilio di Michele Pertusi e sul Bartolo dalla erre milanese di Pietro Spagnoli si tratta solo di elogiare due invenzioni tragicomiche gustosissime. Opera completa, senza tagli, da rivedere assolutamente.

Di Ricciardo e Zoraide, storia di amori contrastati al tempo dei Crociati, si deve dire che resa migliore è stata quella musicale. La regia di Marshall Pynkoski e le coreografie di Jannette Lajeunesse Zingg hanno avuto purtroppo il merito di appesantire i due lunghi atti con l’eccesso di presenza in scena e le danze talora poco appropriate all’azione. La musica è bella, specie nei concertati, nel finale secondo in particolare. Giacomo Sagripanti ha diretto con meticolosità, attento al fluire del canto, al colore del bel suono, al ritmo vivo ma anche sussurrato. È la policromia che fa bello Rossini.

Cast di prim’ordine. Juan Diego Flòrez conserva slancio negli acuti, nobiltà di fraseggio, dizione immacolata, cantabilità affascinante: un modello. Accanto a lui il tenore-rivelazione Xavier Anduaga, voce ampia ed estesa, luminosa, e l’altro tenore, Sergey Romanovsky, sicuro nelle impennate più impervie come l’agilissima, brillante Zoraide di Pretty Yende.

E concludiamo con la spiritosa messinscena di Adina ad opera di Rosetta Cucchi: una immensa torta nuziale che occupa il palco del Teatro Rossini in pieno clima danzante Anni Venti-Trenta. Sulfurei i personaggi e l’Adina di Lisette Oropesa, dal timbro vagamente callasiano (speriamo duri), vivace e spigliata. Brillante l’Orchestra Rossini diretta con sicurezza da Diego Matheuz al suo debutto al Rof. Divertimento assicurato.

 

 

 

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