Trieste in maschera

È andato in scena al Teatro Verdi il "Ballo in maschera", diretto da Gianluigi Gelmetti con la regia di Massimo Gasparon. Storia di amore, morte e perdono interpretata da David Cecconi, Gianluca Terranova e Rachele Stanisci
Teatro Verdi di Trieste

Al Teatro Verdi, Gianluigi Gelmetti ha diretto il verdiano Ballo in maschera. Elegante, sorniona, lirica e drammatica l’opera è un capolavoro di una storia di amore e amicizia. Riccardo, governatore di Boston, ama di nascosto Amelia, moglie dell’amicissimo segretario Renato. Ma i congiurati svelano l’incontro fra l’uomo e la donna e il marito, scoperto l’adulterio – supposto, non reale – si vendica, uccidendolo durante un ballo in maschera. Tuttavia, anziché la vendetta, emerge il perdono finale del conte Riccardo.

Amore e morte in una danza fatale, amore dentro un campo “orrido”, a rivelare una passione inestinguibile che si sfoga in melodie appassionate e ritmi sanguinanti: estasi lacerante che sa di infinito e che non può sfogarsi se non nella morte. E insieme balli eleganti, un paggio Oscar che è un cherubino mozartiano di brillantezza però parigina – siamo nel 1859 –, il tocco macabro della strega Ulrica, l’ironia sferzante dei congiurati nella notte e il coro finale che sale al cielo come un perdono universale. C’è tanto, c’è tutto della vita.

C’è sopra tutto l’amore in una maniera così intensa, struggente, pazza, che mai più Verdi ritroverà. Ma l’ispirazione – continua – frena gli eccessi e trova l’equilibrio nella brillantezza di tanti momenti, nella libertà interiore del conte, dal canto patetico e finissimo, reso in melodie di una bellezza prorompente. Il Ballo verdiano è come un Tristano e Isotta padano, italico, sanguigno e malinconico: veloce.

Gianluigi Gelmetti ha diretto con piglio sicuro già dal primo atto, rapido, per poi man mano che la tragedia e la commedia procedevano scandire i tempi più lentamente, abbandonandosi nei momenti melodici, tagliando netto in quelli tragici, evidenziano i legni in particolare, fino all’idea molto bella di un violino solo sul palco nella mazurka finale (una bravissima solista), che accompagna con discrezione la danza mortale. Si deve aggiungere che la regia di Massimo Gasparon ha saputo essere discreta e non invadente come le scene e i costumi di Pierluigi Samaritani: un allestimento equilibrato per un’opera perfetta e controllata al massimo, difficile da cantare e da recitare.

E veniamo al cast, dove ha brillato il baritono David Cecconi, bella voce sonora, robusta e melodica; Riccardo era Gianluca Terranova che, quando non “ha forzato,” ha ritrovato suoni delicati come devono essere in un tenore lirico; lo stesso si può dire dell’Amelia di Rachele Stanisci, soprano drammatico di agilità, voce notevole a cui si consiglierebbe tuttavia di non ampliare troppo il repertorio per conservarne la lucidità dello smalto. Sempre bravi il coro e l’orchestra che, guidata con cura da Gelmetti, “canta” come voleva Verdi.

A Triste, città unica nella sua bellezza, sanno fare le cose per bene, anche al Teatro lirico, zeppo di giovani e giovanissimi.

Nella foto di Pier Luigi Mora il Teatro Verdi di Trieste

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