Trent’anni insieme a Ischia
Essere famiglia tra preti è possibile e rinnova la Chiesa. L'esempio dell'isola partenopea.
Torno a Ischia, la mia isola, per alcuni giorni di ferie e ne approfitto per andare a trovare alcuni amici sacerdoti che hanno da poco ultimato il trasloco. «È la quinta casa che vado ad abitare per vivere con altri preti», dice don Gaetano, affaccendato a sistemare gli scatoloni, dopo aver messo la caffettiera sul fuoco per offrirmi un caffè. «Insieme a don Raffaele iniziammo quest’avventura trent’anni fa, affittando un appartamento. Era il primo “focolare sacerdotale” a Ischia».
Nel contesto post conciliare don Raffaele Di Costanzo era alla ricerca di una vita evangelicamente più impegnata. «In passato i sacerdoti in genere vivevano con le proprie famiglie – racconta don Gaetano –, e don Raffaele lasciò la sua per darsi completamente a Dio ed essere libero di servirlo nella Chiesa: fu un’iniziativa originale nella realtà isolana».
Cercando tra le nuove realtà ecclesiali, si imbatté nei preti aderenti ai Focolari. Era nuovissima la spiritualità comunitaria da loro vissuta, ma gli sembrò la realizzazione del Concilio, nonché di un suo sogno giovanile: vivere la missione. Così nel 1974 partì, fidei donum (sono detti così i sacerdoti che vanno ad aiutare un’altra Chiesa locale più bisognosa), per il Camerun, avendo come meta la cittadella di Fontem, iniziata da medici focolarini una decina d’anni prima, vero laboratorio di nuova evangelizzazione.
Rientrato a Ischia nel 1979, vi ritrovò don Gaetano, appena ordinato prete, che già da seminarista, a Napoli, aveva capito che l’unità è la “forma della Chiesa” e aveva condiviso con decine di seminaristi la vita di fraternità promossa dalla spiritualità dell’unità. Appena possibile frequentava il primo focolare sacerdotale nato in quegli anni nella città partenopea. «Era per imparare a vivere insieme. Si incominciava spesso dal lavare i piatti, ma l’attenzione che c’era alla persona, a ciascuno, mi metteva le ali ai piedi pur in mezzo al caos del traffico nel rientro in seminario».
L’idea di mettere in pratica le parole del Vangelo «dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro», spingeva ora don Raffaele e don Gaetano ad abitare sotto lo stesso tetto. Era l’8 settembre del 1980, ricorrenza della nascita di Maria. Da quel giorno la vita in comune a Ischia sarebbe continuata fino ad oggi, anche se… cambiando cinque case.
«Il nostro modo di vivere insieme – continua don Gaetano – ci poneva in una maggiore apertura nei confronti anche degli altri sacerdoti della Chiesa locale, in modo particolare quelli ammalati». Visitare i più soli, farsi uno con le loro esigenze era per i due il modo più concreto per comunicare agli altri l’amore fraterno sempre rinnovato tra loro.
Successivamente (correva l’anno 1996) dalle comunità parrocchiali che avevano davanti questo modello di vita, nascevano due nuovi sacerdoti, don Carlo Candido e don Pasquale Trani, tuttora parroci di due parrocchie isolane, e membri con don Gaetano dello stesso focolare.
E proprio don Carlo, che sta rincasando, sorpreso nel rivedermi e colto subito il motivo della mia presenza, con il suo carattere impetuoso va rievocando: «Avevo diciassette anni, dalla prima comunione non ero andato più in chiesa, ma un invito di don Raffaele a ritrovarmi con un gruppetto di giovani capovolse la mia vita: mi sorprese quel tipo di rapporti mai conosciuti».
Negli ultimi anni altri due giovani sceglievano questo stile di vita presbiterale: don Emanuel Monte e don Luigi Trani, anch’essi ora parroci in due parrocchie di una stessa zona pastorale. La famiglia si allarga ancora: Gianfranco, cresciuto e impegnato nella parrocchia ora affidata a don Carlo, è al terzo anno di teologia in seminario. Evidentemente questo puntare all’amore reciproco coinvolge e trascina.
Sono nate così anche varie vocazioni, impegni nuovi come l’avvio e la crescita della pastorale giovanile e sociale, del dialogo ecumenico. Sono tutte caratteristiche della Chiesa post-conciliare, applicate alla realtà isolana, che evidenziano una “Chiesa comunione”, una Chiesa in dialogo.
In questi trent’anni di vita comune ci sono stati anche periodi in cui don Gaetano ha vissuto da solo. «Era il 1990 – ricorda –, era il primo sabato di ottobre: don Raffaele, a 48 anni, ebbe un grave infarto e il lunedì seguente Carlo e Pasquale sarebbero entrati in seminario. Una sofferenza vissuta insieme, ma che dava i suoi frutti alla Chiesa di Ischia». Come dire: non c’è rosa senza spina!
Base significativa rimane il rapporto con Dio e fare la sua volontà nel presente: lavare i piatti, studiare, pregare, mandare una email o sistemare gli scatoloni del trasloco hanno lo stesso valore, perché espressione dell’amore a Dio e ai fratelli, secondo l’ascetica della spiritualità dei Focolari.
Un giorno a settimana è riservato ad approfondire la comunione. «È il momento più importante della settimana – afferma don Gaetano –. Ci incontriamo per costruire la fraternità fra di noi, per meditare insieme, per scambiarci le nostre esperienze e anche le nostre difficoltà».
Da qui parte tutto. Ognuno è portato, secondo il proprio carattere e le proprie capacità, a fare il parroco in un certo modo. Ma ciò che può dare il giusto equilibrio è proprio il ritrovarsi insieme ogni giorno e soprattutto nell’appuntamento settimanale. «Quanto più il rapporto fra di noi è limpido, autentico, secondo il Vangelo, io mi sento più forte, più sicuro, anche nelle scelte da fare in parrocchia o nell’omelia o nel rapporto con chi incontro».
Mentre ascolto don Gaetano, sorseggio il mio caffè e mi viene da pensare al dialogo che costruisco ogni giorno con mia moglie: se è vivo, la famiglia si rafforza e la gioia dell’unità è avvertita anche dagli altri. Ed è proprio così anche tra di loro. “Essere famiglia” tra sacerdoti è possibile.
Mi vengono in mente le parole di papa Benedetto XVI nella lettera di indizione di quest’Anno sacerdotale: «Tale anno vuol contribuire a promuovere l’impegno di interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti, per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo d’oggi». Solo se vissuto in relazione con gli altri, in comunione con tutti, il servizio del sacerdote può ritornare a rifiorire e a costruire una Chiesa rinnovata. A Ischia un seme in tal senso è stato gettato l’8 settembre di circa trent’anni fa.