Trent’anni a favore degli ultimi

Trent’anni di solidarietà, di passione e di impegno a favore degli emarginati, dei disabili. Trent’anni da quando don Franco Monterubbianesi con un piccolo nucleo di disabili e volontari decise di realizzare anche a Roma la Comunità da lui fondata anni prima a Capodarco, nelle Marche. Da allora, quell’esperienza è dilagata in tutto il mondo e si è consolidata, facendo fiorire iniziative a tutto campo in ogni ambito dell’intervento sociale. L’ultima a Roma, o meglio a Grottaferrata, dove il 24 ottobre scorso è stato inaugurato un agriturismo biologico e sociale. Tra i suoi punti di forza l’impiego in cucina dei prodotti provenienti dagli orti e dagli allevamenti delle campagne, dove lavorano, perfettamente integrate, persone in stato di disagio sociale. Immerso tra le bellezze paesaggistiche di Valle Marciana, il ristorante è localizzato in un antico casale in pietra: un ambiente semplice ed accogliente dove vengono serviti ortaggi, carni, uova, vino e olio rigorosamente biologici, mentre non manca la qualità della buona cucina, visto che dietro i fornelli c’è lo chef Andrea Moscardini, più volte citato dal Gambero Rosso. Una testimonianza di come una complessa e articolata realtà organizzata possa produrre azioni positive e concrete di inclusione sociale, di come la volontarietà possa anche essere professionalità e questa possa arricchirsi, in un ambiente e in un clima di solidarietà, di forti motivazioni umane e sociali. Ma cos’è questa Comunità Capodarco, che in trent’anni si è fatta conoscere in Italia e nel mondo? Semplicemente, un insieme di storie, di gruppi e persone, di servizi e di azioni, di operatori e volontari, di iniziative culturali, con l’unico obiettivo di dare dignità alla persona umana. Dietro la coltivazione e produzione orticola, l’allevamento avicolo, la produzione di uova e miele, di olio extravergine di oliva, di vino bianco, tutto rigorosamente biologico, si nasconde il lavoro silenzioso e appassionato di un gruppo di disabili e no, garanzia di eticità che supera ogni certificazione. La comunità – per don Franco, il fondatore – è anzitutto vivere con l’altro, ma anche dell’Altro: l’Assoluto che trascina la comunità, la muove, la interroga, la stimola anzitutto nell’accoglienza, prendendo ispirazione dai fatti, dalla realtà negativa, dove Lui si è confuso totalmente con noi. Così a Capodarco si ha come l’impressione di essere in un microcosmo, tra razze, culture e appartenenze religiose diverse. Giovani romani ed extracomunitari si danno il cambio nei turni di assistenza; al centralino, trovi il sorriso e l’accoglienza di giovani disabili pronti a venire incontro ad ogni tua richiesta. 2800 persone assistite l’anno, 300 tra operatori, collaboratori, volontari, 16000 prestazioni ambulatoriali e domiciliari l’anno nell’Ambulatorio di riabilitazione, 60 disabili ospitati ed assistiti in 10 gruppi famiglia, 70 bambini in stato di abbandono accolti nella casa famiglia La Casetta, 850 bambini ed adolescenti nomadi coinvolti nel Progetto di scolarizzazione rom del comune di Roma, 8 cooperative sociali integrate e tanto altro dicono la dimensione dell’impegno della comunità sul fronte del disagio sociale, fisico e psichico. È forse questo il vero segreto della Comunità Capodarco di Roma nuovo presidente -: la capacità di fare sintesi fra umanità e professionalità, fra sensibilità sociale e progettualità, fra solidarietà, partecipazione e correttezza dei rapporti contrattuali, tra lavoro sociale ed impegno politico. Una sintesi non casuale, ma che è conseguenza della determinazione a stabilire rapporti chiari, paritari e coinvolgenti tra gruppi comunitari, operatori ed utenti. Un vero e proprio laboratorio della solidarietà, dove persone emarginate diventano realmente protagoniste del proprio e dell’altrui processo di emancipazione. Abbiamo sempre spinto il processo di integrazione – dice ancora don Franco – sulla forza della condivisione e dell’aggregazione, tenendo sempre aperto lo sguardo sul territorio e confrontandoci continuamente con i gravi problemi di quartieri romani difficili come Spinaceto, Tor Bella Monaca e Laurentino. Battaglie su battaglie condotte sul fronte dell’emarginazione, alcune con ottimi risultati; basti pensare alle oltre duecentomila firme raccolte negli anni Settanta per la presentazione di una legge di iniziativa popolare che mise fine ai cosiddetti manicomi e a tutte quelle forme di riabilitazione che privilegiavano soltanto il momento sanitario e poco quello affettivo, relazionale e comunitario. Non sarebbero nati, senza quella legge, i laboratori sociali, luogo dove processo riabilitativo, miglioramento dell’autonomia relazionale/emozionale e coinvolgimento del contesto familiare si incontrano per favorire il protagonismo della persona, come spiega Carlo De Angelis. E la comunità continua a vigilare contro il rischio di ogni possibile arretramento; piccole comunità collegate ai centri di riabilitazione e inserite nei normali contesti urbani sono per Capodarco la risposta concreta all’attuale crisi di Welfare, non più State, ma Community, come amano definirlo i responsabili dell’organizzazione romana. Ecco – conclude don Franco -: la Comunità ha assolutizzato il più debole, l’ultimo, il disabile, attraverso lo sviluppo concreto della condivisione, articolata in tante manifestazioni ed espressioni. Vedasi, appunto, l’ultima iniziativa, quella dell’agriturismo che privilegia proprio la convivialità, l’incontro, l’agape, nel processo riabilitativo. Togliamoci il complesso di aver pensato qualche volta che noi di Capodarco non abbiamo una spiritualità che contraddistingue il nostro cammino. Accoglienza, condivisione e progettualità sono i tre princìpi che hanno fatto la storia, perché sono le modalità profonde dell’agire di Dio su di noi e in mezzo a noi. Una scommessa, quella di sentirsi e voler essere un tutt’uno, un’organizzazione articolata e compatta capace di ottimizzare ed esaltare tanto il contributo dei tecnici quanto il quotidiano di persone disposte a fare lavoro sociale attraverso la propria vita.

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