Trentadue ritratti di artisti della pittura europea raccontati da Mario Dal Bello

ritratti

Il nuovo libro di Mario Dal Bello, edito recentemente per Città Nuova Editrice, “Ritratti d’autore. Figure della pittura europea da Duccio a Rothko” evoca l’idea di musée imaginaire. Si ha l’impressione di passeggiare attraverso la galleria di uno di quegli amatori dell’arte che mettono in scena differenti tradizioni culturali; un po’ come fece nel XVII secolo il grande collezionista Vincenzo Giustiniani per il testo la Galleria Giustiniana.

Eppure non c’è solo questo nel volume. Per capire le logiche che hanno portato lo storico dell’arte a selezionare trentadue artisti dal Duecento al Novecento, bisogna fare un percorso diverso, più intimo e personale, in cui ricorre frequentemente l’assioma viaggio/ gusto/ interiorità. L’unico modo per conoscere l’arte è andare a rendere visita ai maestri, attraverso le loro opere. Stare un po’ a colloquiare con loro.

Ed è in questo che l’autore vuole condurre il lettore. Parliamone direttamente con Mario Dal Bello.

 

Claudio Strinati, nella prefazione al libro, dice che questi artisti sono per lei: «come persone amiche, frequentate con infinito affetto e rispetto». Com’è avvenuta la conoscenza di questi artisti?

Attraverso il viaggio. Nel libro parlo solo di dipinti di artisti che ho visto e, in alcuni casi, rivisto anche più volte. L’aspetto del viaggio, in questo, è fondamentale. Le riproduzioni delle opere nei testi servono alla memoria, non alla conoscenza. È attraverso il viaggio che nasce il colloquio con l’arte. E il mestiere del critico sta nell’andare a parlare con loro e riferire cosa si sono detti.

 

Quali altri viaggi, oltre a quello a Toledo per vedere il Greco, citato nella conclusione, ci puo’ raccontare?

Ricordo con enorme fascino Amsterdam, dove mi recai per conoscere l’arte di Rembrandt. E conoscerla è significato, visitare il quartiere ebraico da cui proveniva. Senza non si può capire il suo Gesù. Un Cristo ebreo che difficilmente si trova nell’arte. O ancora il viaggio a Bruges, per conoscere Van Eyck, il pittore del Paradiso. Questi solo per citarne alcuni.

 

Dalla sua introduzione cito testualmente: «Essi perciò, attraverso le loro opere, possono accompagnare ciascuno: scendono nell’abisso del dolore o salgono sul piano della serenità, questi maestri ci stanno accanto o ci precedono, aiutandoci a non rimanere prigionieri del grigiore, ma a continuare ad aspirare a qualcosa di più grande e di più profondo, che l’Arte tenta di esprimere». Quali tra quelli scelti «scendono nell’abisso del dolore» e quali quelli «sul piano della serenità»?

Nell’abisso del dolore più profondo sicuramente Van Gogh, Munch, Toulouse-Lautrec, Bacon, Grünewald e Picasso. In particolare tra gli artisti che maggiormente analizzano l’animo dell’uomo ci sono: Caravaggio e Rembrandt. Ognuno di loro naturalmente con la propria ricerca, il proprio linguaggio espressivo.

Sul «piano della serenità», abbiamo i grandi maestri: Duccio (per la sua visione pradisiaca), Monet, Cézanne, Chagall, Velázquez. Una considerazione a parte merita Rubens, il “pittore della gioia” di vivere, di esistere. Le donne di Rubens sono donne “in carne”, contente di essere al mondo. Anche la natura e gli animali, riflettono questo modo di essere. Il dramma, è affrontato dall’artista, ma è passeggero.

 

A quali di questi trentadue maestri dell’arte, per primo si è avvicinato?

Sicuramente agli artisti della mia terra d’origine: i veneti. Primi fra tutti Giorgione e Tiziano. Raffaello e Michelangelo erano, invece, una conseguenza degli studi liceali.

 

 Quali, invece, ha compreso solo successivamente?

 Caravaggio, l’ho scoperto nel viaggio che nel 1981 ho fatto a Malta. Anche l’avvicinamento a Leonardo non è stato così immediato. Tra i più recenti Grünewald. Mi sono recato appositamente a Colmar, vicino a Strasburgo, per vedere il Polittico di Issenheim. E tra gli ultimissimi Rothko.

 

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