Una tregua per arrivare alla pace
«Cristo ha portato la croce per liberarci dal dominio del male. È morto perché regnino la vita, l’amore, la pace». Papa Francesco torna a parlare della guerra in Ucraina nel corso dell’Angelus nella domenica delle Palme. «Si depongano le armi! Si inizi una tregua pasquale; ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no!, una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente». Non c’è, infatti, vittoria dove si assiste alla morte di tante persone, di tanti bambini innocenti (si stima che siano circa 183 dall’inizio della guerra), dove c’è la distruzione di intere città. «Infatti, che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?», chiede il papa.
È il tempo della misericordia e del perdono – ricorda Francesco nel corso dell’omelia della S. Messa – il tempo di abbandonare ogni egoismo e desiderio di potere. L’esortazione a guardare Gesù sulla croce risuona ben cinque volte: guardare, non distogliere lo sguardo dalla Misericordia, dal Signore Gesù che, mentre viene crocifisso, «vive il suo comandamento più difficile: l’amore per i nemici», dice papa Francesco. Poi chiede: «Ma noi, discepoli di Gesù, seguiamo il Maestro o il nostro istinto rancoroso? (…) Se vogliamo verificare la nostra appartenenza a Cristo, guardiamo a come ci comportiamo con chi ci ha feriti. Il Signore ci chiede di rispondere non come ci viene o come fanno tutti, ma come fa Lui con noi. Ci chiede di spezzare la catena del “ti voglio bene se mi vuoi bene; ti sono amico se sei mio amico; ti aiuto se tu mi aiuti”».
È l’invito a fuggire la mentalità del mondo che sembra ripetere a ciascuno «Salva te stesso». «È il ritornello dell’umanità che ha crocifisso il Signore», aggiunge il papa. «Salvare se stessi, badare a se stessi, pensare a se stessi; non ad altri, ma solo alla propria salute, al proprio successo, ai propri interessi; all’avere, al potere, all’apparire». Gesù, invece, offre se stesso, non minaccia vendetta, non rimprovera i suoi crocifissori, il dono della sua vita diventa «per-dono».
Gesù diventa nostro avvocato e si rivolge al Padre dicendo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». «Non si mette contro di noi, ma per noi contro il nostro peccato. Ed è interessante l’argomento che utilizza: perché non sanno, quell’ignoranza del cuore che abbiamo tutti noi peccatori», sottolinea il papa, che torna a riferirsi alla guerra e ai soprusi che tante persone subiscono: «Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo. Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi».
Tuttavia, nonostante la crudeltà del male, Gesù continua a intercedere presso il Padre per ogni uomo e ogni donna: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno». È speranza pasquale che ogni pianto sia cambiato in danza, che non è mai tardi per poter ricominciare, per poter essere perdonati e rinascere ad una vita nuova; è la certezza che «con Dio si può sempre tornare a vivere».