Trecento alberi per l’integrazione
Potrebbe contenere 127 detenuti, ma attualmente sono 272: la Casa circondariale di Treviso, pur nelle cifre – relativamente – contenute, è uno degli esempi delle difficoltà in cui versa il sistema carcerario italiano. Un terzo dei detenuti ha meno di 30 anni, e ben il 75 per cento di loro ha commesso un reato (quasi sempre furti o spaccio di droga) per necessità: e le statistiche dicono che se al termine della detenzione ci si trova senza un lavoro e ai margini della società, nel 70 per cento dei casi si ricade negli stessi errori, contro un 19 per cento in caso contrario.
Per questo la Caritas di Treviso, la cooperativa Alternativa di Carbonera e la cooperativa Punto Zero di Udine hanno colto l'occasione del Natale per portare l'opera dei detenuti in città: dal 14 dicembre al 6 gennaio le piazze del centro saranno decorate da trecento alberelli in compensato realizzati da loro. «Ogni alberello – ha sottolineato Joseph Facchin, presidente di Punto Zero, all'inaugurazione dell'installazione – è contraddistinto da un numero, e corrisponde ad uno dei trecento detenuti». Trecento detenuti che, ha ricordato il direttore della Caritas don Davide Schiavon, «vivono in un ambiente pensato per la metà. Vogliamo favorire l’avvicinamento tra la realtà “di dentro” e quella “di fuori”, affinché quest’ultima abbia coscienza dell’esistenza e delle condizioni dell’altra».
L'iniziativa è la prima fase del progetto Start Up, che si svilupperà su tre anni: «Il primo – spiega Facchin – è mirato a sensibilizzare la città e far conoscere la realtà del carcere; il secondo e il terzo a consolidare la presenza dell'opera dei detenuti e assicurare una sostenibilità anche economica a queste attività». Il progetto è infatti sostenuto finanziariamente dalla Caritas di Treviso, ma l'intento è quello di far “camminare da sé” l'iniziativa.
All'interno del carcere di Treviso sono infatti attivi sei laboratori occupazionali, ma le risorse limitate e la scarsità delle commesse permettono solo al 10 per cento dei detenuti di frequentarli. E dire che di talenti ce ne sarebbero: è il caso di A., incisore artistico su vetro, che lavora presso Alternativa: «Un'opportunità che mi ha permesso di coltivare i rapporti con l'esterno – racconta –, ma anche di sentirmi utile in vista della libertà: ho insegnato ad altri quattro detenuti il mio mestiere, ora uno di loro è uscito e in Marocco l'incisione è diventata il suo lavoro». Anche R., che ha ottenuto il permesso di uscire per lavorare in agricoltura, racconta che «all’inizio provavo una grande ansia, oggi invece non vedo l'ora di andare in cooperativa. Là il tempo scorre più veloce. Dentro non passa mai. Al momento lavorare in agricoltura mi va bene, ma mi piacerebbe fare assemblaggio per i cancelli. Sono bravo anche a fare il carrozziere e il meccanico, ma mi basta un lavoro che mi faccia stare fuori dai guai. La cosa che più mi spaventa è rifare gli stessi errori». «I detenuti transitati attraverso percorsi riabilitativi prima dentro al carcere e poi fuori, approdando infine ad un lavoro, – ha confermato infatti Antonio Zamberlan, presidente di Alternativa – non hanno ricadute». Persone che, ha ricordato l'educatrice della Casa Isabella Pagliuca, «hanno sbagliato, ma chiedono un’opportunità per riallacciare un rapporto solo temporaneamente interrotto con la società. Il primo passo, per chi sta fuori, è riconoscere che queste persone esistono: ecco dunque il ruolo degli alberi di Natale».
Nel centro storico sono stati allestiti sei punti informativi, dove trovare notizie e approfondimenti riguardo al progetto Start Up e alle problematiche e opportunità occupazionali relative al carcere; terminato il periodo natalizio, il legno verrà recuperato per la costruzione di addobbi il prossimo anno. A lanciare un'ulteriore proposta in sede di inaugurazione è stato l'assessore alla famiglia, Mauro Michielon: «Perché non realizzare dei giocattoli da donare alle scuole dell’infanzia? Sarebbe un segnale “permanente”, e non legato solo al Natale, della presenza e dell’impegno dei detenuti».