Tre voci dall’Afghanistan
Una deputata, un avvocato e un giudice afghani portano al cuore dell'Unione europea la loro esperienza di vita in un Paese dilaniato, ma ricco di umanità
Vedere una donna sedere in Parlamento, in un tempo in cui si fa un gran parlare di quote rosa, è una cosa di cui ritenersi soddisfatti. E se la parlamentare in questione è afghana, la soddisfazione è ancora più grande. Il velo non ha impedito a Golalei Safi Nur di arrivare al secondo mandato nell’assemblea nazionale. Lo scorso primo febbraio, nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo, ha partecipato ad un incontro promosso dalla European Foundation for Democracy. Con lei c’erano l’avvocato Afzal Nooristani, direttore di una ong afghana che offre assistenza legale a chi non se la può permettere, e Hayatullah Ahadyar, giudice alla Corte antinarcotici di Kabul. Insieme hanno dipinto il quadro di un Paese che conosciamo poco: anche perché, come hanno osservato, i media ne offrono spesso un’immagine distorta.
A sentire loro, la risorsa e la condanna dell’Afghanistan è la sua posizione strategica, su cui si concentrano gli interessi non solo delle grandi potenze, ma anche degli Stati confinanti. Con i quali non sempre le relazioni sono rosee: «Purtroppo la cooperazione è scarsa – afferma l’on. Nur –, il che rende difficile il controllo del traffico di armi e di droga attraverso i confini». Questione cruciale in quanto, sostengono i tre ospiti, terroristi e trafficanti hanno lasciato il Paese: «I pesci grossi si trovano fuori dall’Afghanistan – conferma il giudice – e mandano avanti solo i poveri che si rivolgono a loro per mancanza di alternative: molti dei trafficanti arrestati sono pakistani». Tanto più per questo motivo, conferma l’on. Nur, «la gente è stufa di essere equiparata ai terroristi. E il rischio è quello che reagisca diventandolo davvero, soprattutto i pashtun, spesso identificati tout court con i talebani».
La presenza di molti gruppi etnici è infatti, come si sa, il fattore cruciale: «Non abbiamo mai avuto alcun problema a vivere insieme, finché queste divisioni non sono state sfruttate per fini politici – prosegue –. Ora la gente non si presenta più come “afghana”, ma come pashtun, tagika o hazara». Il che rende difficile la ricostruzione della struttura istituzionale del Paese: «Le forze di polizia, ad esempio – spiega l’avv. Nooristani –, devono essere reclutate ed impiegate solo nella loro regione di provenienza, perché non saprebbero come agire al di fuori di quel contesto». Per questo «la priorità vera è quella di reintrodurre il concetto dell’unità nazionale tramite l’educazione».
Nooristani e Ahadyar sono fiduciosi che, alla luce dei progressi compiuti, altri passi avanti possano essere fatti: «Abbiamo formato oltre duemila giudici, tra cui cento donne – spiega quest’ultimo – e i diritti delle donne e dei bambini sono ora meglio tutelati. Ma non è ancora abbastanza, e certe zone del Paese sono tuttora in grave difficoltà. Se la gente non può ottenere giustizia dallo Stato, la cerca dai talebani». Per questo, ammettono, il sostegno della comunità internazionale è prezioso, in quanto sia le forze di sicurezza che il sistema giudiziario non potrebbero per ora funzionare autonomamente. E qui il principale problema rimane la corruzione, per cui molto spesso gli aiuti non arrivano a destinazione: «Ci sentiamo derubati del denaro degli aiuti esattamente come voi che l’avete generosamente donato», afferma l’on. Nur. Secondo alcuni, parte di questo fa addirittura ritorno nei Paesi da cui proviene, complice l’assenza di qualsiasi sistema di tracciabilità dei trasferimenti. Tuttavia, conferma il giudice Ahadyar, «la lotta contro la corruzione è stata presa seriamente: oltre trecento funzionari sono stati arrestati».
Le ultime parole dell’avvocato Nooristani hanno risuonato come un potente appello all’interno delle mura del Parlamento europeo: «Credo sia chiaro, da quello che vi abbiamo detto, che queste non sono solo questioni afghane, ma che riguardano tutta la comunità internazionale. Per questo le possiamo risolvere solo insieme. E vi siamo grati per l’aiuto che ci avete dato e vorrete darci».